Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
Villa Beatrice 671 faella ». Ed ella si assorbi in questo assaporamento, mentre al suo passo le chiavi tintinnavano allegre. Eran digià saliti, erano entrati digià in camera, gli sposi. Dalle due finestre aperte si vedeva la notte chiara per la luna di cui già biancheggiavano, - biancore d'alba, - le colline e i monti di faccia. Rade stelle. Quieta, profumata notte di giugno: in– canto della dormente campagna toscana. Era ben· una notte cosi, che Beatrice aveva immaginata la notte del suo amore. La notte del suo amore! Tutta la giornata : uno sforzo continuo per allontanare il momento che ormai era vicino; ora, la sola cosa era preparar l'animo come a un martirio. -Ma la desolazione era questa: martirio senza Dio a cui offrirlo: testimonianza di nul– l'altro che della propria irrimediabile infelicità. In questo stato di desolazione aveva messo il piede nella camera : eppure la notte era cosi dolce che ella non poté fare a meno di re– spirare dal fondo. Il marito aveva acceso la luce. «No! spengi ! ». E la stanza tornò nell'ombra. S'affacciò a una :finestra. Il fresco, e l'odore ancora delle az– zorre e dei tigli, e l'aspetto fantastico del giardino col prospetto a mosaico e le statue bianche in faccia al cupo folto del parco ; e poi nei campi in scesa il brillio delle ultime lucciole. In basso, la lama lucente dell'Arno. Nel silenzio, il rumor d'un barroccio: di quelli che viaggian, la notte, col lumicino che d6ndola sotto; le sonagliere dei muli, un abbaiare lontano, uno strido d'uccello notturno, il trì-tri accorato d'un grillo. - Ohe pace! Ohe magnificenza! - Era la voce di lui all'orec– chio. Ella si ravviò i capelli da quella parte e poi, appoggiato il go– mito sul davanzale, premé l'orecchio sulla palma come per attutire uno spasimo. E chiuse gli occhi e non volle udire. Qualche parola le arrivava. Erano confidenze che egli le faceva del suo passato, della vita condotta nei secondi vent'anni, piuttosto avventurosa, una storia delle esperienze fatte a proprie spese, una confessione dei propri trascorsi, il racconto d'una passione mala– mente finita. E a lei tutto codesto non interessava punto. Aspettava che egli tacesse, che quell'offesa al silenzio finisse, come s'aspetta che finisca una contrazione dolorosa. Per lui, invece, quello costi– tuiva un dovere. «Non ci dev'essere nulla di me che tu ignori». Era una prova, la più grande, d'amore: il modo, per l'uomo, di darsi. Le cinse con un braccio la vita. Ella si staccò da torno alla per– sona quel braccio, e si ritirò dalla finestra. Andò come a nascon– dersi nel punto in cui la stanza era più buia, di là dal letto, dalla sua parte. O'era sulla rovescia della coperta, distesa, la camicia da notte. E cominciò, lenta, a spogliarsi. Biblioteca Gino Bianco
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