Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
756 G. LONGO, Callirhoe superficie, se ne disamori. Guai. se il libro c~pita in .mano d'un critico, il quale pretenda di farsene un'idea dalle prime pagme. . Senza dubbio l'autore ha voluto offrire anche una storia della pro– pria poesia, rifac~ndosi dalle origini. Ma avremmo _rilevato egualmente certi precedenti culturali: Carducci, molto Pascoli, una vena ~eopa-r– diana, e non so che tendenza, - forse ancora e semp11ePasc?li, - a metter la sordina all'oratoria, che pur c'è, e a far sonare prosast1~mente perfino i metri più aulici. . Il Longo esordì, nel 1912; con la Ghirlanda di cipresso, acqms,~ò nuova voce con gli Olivi di Cefalù (1913), ma seppe essere veramente lm, solo dopo le Elegie de l'alba (1914). Messosi subito antirettoricamente nell'orbita della tradizione, si fece una fisonomia esprimendo con grazia ellenizzante la propria sensibilità nelle Elegie agrigootine (1916), cui tennero dietro le Nuove elegie agrigentine (1917) e le Novissilrne elegie (1919) : tre momenti di un progressivo raffinamento. Le posteriori rac– colte, Epigrawmi (1922), La lampada (1924), Persefone (1927), Il sole ed io (1927), Antesterie (1929), Le Eliadi (1930), denunciano un princi– pio di stanchezza: tornano i motivi ormai noti, senzf!,novità di sviluppi; c',è un aderire sempre più appariscente ai modi dell'antica poesia. Dietro il poeta commosso, spunta il poeta parnassiano. La riflessione prevalendo sul sentimento, ecco che cosa diventa il mito di Jaufrè e Melisanda, dopo Uhland e Heine e il Carducci: Melisanda, non eri non eri l'amore lontano .... il mio sogno di te, era di te, più bello. È, sviluppato, un oonoetto del Carducci (del critico, non del poeta) : « egli è sepolto dalla sua donna con desideri~ e memoria, anzi che debba egli in un amarissimo giorno seppellire nel cuor suo vivo l'amore ll. Per le Elegie agrigentine, le Nuove elegie agrigentine e le Novissirn,f3 elegie, i riferimenti eruditi hanno assai minore ragione d'essere. Ho parlato cli grazia ellenistfoa,, ma non precisamente perché il poeta ha familiare l'Antologia Palatina, ha letto o tradotto Meleagro, Nosside, Anite, Paolo Silenziario. Anche Lucrezio ha tradotto, anche Virgilio. EL' Ape, una delle Nuove elegie agrigentine, ricorda l'idillio di Teocrito come può· ricordar lo l' Aminta, nel famoso episodio della pecchia e del tiacio, dove cioè il Tasso è più lui. V'è la purezza e la limpidità e la delicatezza e l'eleganza antica. Ma il sentimento, generando esso mede– simo gli antichi stampi come proprie, connaturali forme espressive, li riempie cli sé per modo da trasfigurarli, tralucendone. Quattro motivi lia il sentimento del Longo. Il più debole è forse quello dell'amore: di fronte alla, donna il Longo è UD po' come il Car– ducci : sedotto dalle esteriori bellezze, ne accentua il rilievo e il colore fermandosi lì, alla superficie fisica; e dai propri fantasmi femminili vo~ lentieri si distrae dietro fantasmi di cose naturali, che dovrebbero far da sfondo al quadro e diventano invece elementi di primo piano. Entro la floreale selva un gran giglio eri tu : _qui. la don~ non è più che un fiore tra i fiori. E anche avviene, che, obliterandosi la umana figura, le cose naturali acquistino esse un volto. BibliotecaGino Bianco
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