Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931

586 U. Ojetti Si dice eh~ ormai le remissive superiori autorità permettano al po– destà cli Vicenza di tradurre in muratura questo finale oratorio,. E lo tra– duca,. Soltanto sa,rebbe utile che, chi deve, prima s'informa-sse almeno d'un punto: poiché la Loggia Palladiana non potrà restare con due archi nuovi e sgargianti e tre archi vecchi, neri e venerandi, il podestà pensa di rinfrescare e imbellettare questi o di tingere e patinar,e quelli? Da una parte o dall'altra la bugia dovrà scoprir·si. E sarà un bel modo per onorare i Caduti vicentini. Fausto Maria Martini. 19 aprile. Nella notte di lunedì se.orso .Fausto Maria Martini è morto a Roma, in poche ore, soffocato, ché il cuore stanco di reggere da quin– dici anni quel corpo stroncafo ha ceduto d'un tratto. Tante volte, par– lando e scrivendo, egli aveva scherzato sulla morte che in guerra l'aveva ghermito e poi lasciato, in un gioco macabro. Ma ne parlava con la voce velata, quasi temendo che l'orrida vicina avesse a voltarsi e a ricor– darsi di lui e dell'opera lasciata a mezzo . .Sempre al baleno d'un sorriso su:C:Cedevasul suo bel volto un'accorata dolcezza: luc.i e ombre, rapi– dissime e lievi, che erano l'incanto della sua compagnia, e del suo stile. Nei suoi stessi libri per rivelarci l'animo suo, egli 'procedeva cosà, cau– tamente, per accenni Uevi e con accenti sommessi, e la siincerità della sua c.ommossa poesia la indovinavi prima ch'egli te la dichiarasse. Ser– gio Corazzini morente: la, madre di lui « ci guardò con un'ail'ia sgomenta, poi senza aprir bocca ci additò una specchiera all'angolo della stanza, nella quale si rifletteva il letto di Sergio dallo spiraglio della porta soc– chiusa e noi avremmo potuto vedere il nostro amico senza ch'egli si aècorgesse di noi. Fu l'ultima volta che vedemmo Sergio, vivo». Simil– mente la realtà _di questo poeta non si presenta quasi mai diretta, solida e tangibile, ma riflessa in uno specchio un poco lontano; e il vano: desi– derio di giungere a tooca!l'la aumenta l'ansiosa simpatia del lettore. È vero, egli si confida e confessa in ogni pagina e, a,n.che quando vuole creare personaggi dìve11sii da lui e opposti a lui, essi sono tinti d'un deli– cato grigio di malinconia cl;teattutisce le voci in echi e i colori in riflessi; ma presto ci s'accorge ,che questo è come un pudore del poeta, di questo « bambino di trent'anni>> com'egli chiamava se stesso nella prefazione a Verginità, rinato alla vita, pieno di 5< un attonito fanciullesco amore del mondo», sospettoso davanti « all'obliqua pietà onde gli uomini av– volgevano la sua giovinezza schiantata>>. Schiantata da una, palla nemica nella fronte. L'accasciata rasse– gnazione dei poeti crepuscolari al silenzio d'una vita stanca e mediocre s'era in lui mutata, al primo tonar della guerra, in una risoluta volontà d'offrirsi tutto, d'abbandonarsii al nuovo dovere, èon un impeto di pas– &ioneche era fl,nche un desiderio cli liberazione dalla letteratura e dai dolci sospiri. Alzò la testa fuori della trincea, cadde accecato dal san– gue, e quella che era stata una moda dello spirito, diventò una neces– sità della ,sua, carne squarciata. Ma allora si provò la sanità cli que– st' :1nima italiana. Romain Rolland, dopo aver letto Verginità, gli scrisse: « Manca, a questo libro un capitolo nel quale chi ha tanto sof- BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy