Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931
M. MORETTI, Via Laura l'amore si rivelava, ai tempi di Via Laura, entro specchi lett~rarii o teatrali più o meno deformanti. Fosse stato almeno un letterario spec– t:hio morettiano ! No no, questa è l'ebreuccia carduccianamente esaltata dall'amico studente di filosofia, quell'altra è una delle fanciulle di Pian de' Giullari, cui un compagno della scuola <li recitazione declama al telefono il Bacco in Toscana del Redi : « F(J/l)ettu.ccia leggiadribelluc– cia.. .. >>. Il quale compagno della scuola di recitazione, proprio stoffa di menestrello, tanto era deforme di corpo e orribile di viso e volgare d'accento, bisognava vederlo con la vivuola tra le ancelle nella famosa 111Cena della Francesca da Riuiini di d'Annunzio: bestione in foia, irrom– peva e brancicava alla cieca fra le gonne, dopo aver fatto il cane che sal– tella eù annusa: « 'fu, Biancofiore, eri anche troppo tenera e dolce, ma tu, Garsenda, parevi perfino salace e tu Altichiara, nostro bel contralto, eon quale irruenza ti ,scag1iavi contro Ca.puzzo : - Son fresca e ardo ! Son fresca e ardo! - E: - Monna Altruda levate la coda». Episodi che si ricordano qui per tirar le somme seguenti : che se pagine come queste di Capuzzo tra le ancelle son gustosissime, poi, a leggere anche di Ca'f)Uzzo tra le preziose,, s'avverte non so che stan– chezza; che se quanto c'è di falso nella materia, nei motivi del libro, si riscatta per virtù dell'ironia, si ha un po' l'impressione che lo scrittore si diverta a riadattarsi quella mascherina dell'intellettualismo, e a to– gliersela p!;lr farle lo sberleffo, e poi a rimettersela e a ritogliersela, prolungando il gioco per più di tr,ecento pagine. Già, quel tornar di parafrg,s,i, di citazioni a scopo di riso, tutte le volte ch'è ricordata un'opera, un autore o un attore cui vadan messi in conto i nei artificiosi o le rughe dissimulate dal liscio allora preso per autentica bellezza; già, quell'espediente dei ritornelli, delle filastrocche di determinazioni per sottolinear l'ironia, mentre mostrano questa piuttosto platonica, quasi non nata da intima nooessità, to-lgon consistenza, vigore, efficacia all'evo– cazione. Moretti che se la piglia col pro_Rrionome letterario: « Oh, Dio, sì, il nome letterario, il nome retorico che ti svela, definisce e risolve, questo. nome logoro, _questa moneta consunta, questo buono scaduto, questo francobollo timbrato, questo gradino sbreccato, questo pennino spuntato, questa etichetta di bottiglia scolata, questo bottone caduto con cui i ragazzi pot~ebbero giuocare davanti alla tua ,porta, come si fa al tuo paese>>. Vero, che v'ha più d'ozio che di malizia, in simili ti– ritere ? Poi verrà la fondamentale serietà delle pagine su Pesaro, ultimo capitolo, tutto adesione diretta alle cose, e insieme l'umorismo supe– riore dell'uomo che sorride per non commuoversi din:mzi alla realtà genuina, umile, quotidiana, e per non sdegnarsi avvertendo il contrasto con queU'altra realtà, dell'arte o dell'artificio. Ma intanto, questi ricordi, dell'arte e dell'artificio, che fanno quasi tutto il libro, l'hanno inte– ressato Moretti, l'hanno divertito, e non per una loro anima intima, ma per la loro esterna superficie, tanto più feconda di riso, ·quanto più esterna, quanto più superficie. Non era cos-ì, Moretti, anche ai tempi delle Poesie scritte col lapis, delle Poesie di tutti i giorni, all'età, insomm_a, del suo crepuscolarismo ? . Se un giorno, o mia dolcezzà, ti dovessi sposare, BibliotecaGino Bianco I I
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