Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931

M. MORETTI, Via Laura 497 « Il nostro male era di carta>>. Abbiamo fatto il punto, direbbe un vecchio nocchiero in cerca d'orientamento. Proprio qui, mi pal'e che Moretti sia da prendere in parola. Dannunziano alle origini, in luogo di cercar scampo subito nella realtà e nella vita s'imbozzolava nel pascolismo, per uscirne farfalla maeterlinkiana: « Quanti peschi in fiore, quanti susini, meli, ciliegi, cotpgni, albicocchi, mandorli in fiore si sono s:fioooati dopo d'allora ? E non doveva nevicar fioco anche il mio magro e rado frutteto al venticello di marzo mentre cominciava a passare tra albero e albe~o la cornetta di qualche suora maeterlin– kiana? >>. Così, a un dipresso, era accaduto pure ai malati, non di let– teratura SÒltanto, ma eziandio di polmoni, a Gozzano (quello di Torino), a Corazzini (quello di Roma). Via Laura è un buon contributo alla storia di questo fenomeno: Moretti n'è così conscio da scherzarci su, come ci scherzava ,su anche allora, all'età eroica, sebbene laforghiana– mente. E a guar.dar le cose da un punto di vista meno particolare, met– tendo cioè da parte il crepuscolarismo, Via Laura non appar tanto un documento di formazione umana, quanto di formazione letteraria, o an– che artistica in senso più lato, visto che l'autore ci si presenta frequen– tante la scuola di recitazione proprio in quella via fiorentina che dà il nome al volume. Moretti doveva uscirne scrittore e non attore: resta che questa esperienza, « dei sorprendenti vent'anni» come dice il sotto– titolo al libro, conta sopratutto p el mazzo d'impressioni messo insieme pei giardini delle parole stampa.te o declamate, piuttosto che ,pei liberi prati delle cose naturali, così lonta ni, quasi invisibili, esclusi da troppo alte spalliere e troppo fitti cancelli d'umana fattura. Voglio dire che i sorprendenti vent'anni di Moretti erano il suo concluso hortus l(J/J"va– rum, dove prima che vi entrassero gli organini di Barberia o vi oc– chieggiassero le suore (oh Govoni! oh Palazzeschi !), prima che vi can– tassero le capinere pascoliane tra gli allori di Adolfo De Bosis, Gabriele d'Annunzio mandava a spasso i proprii fantasmi in persona di Eleonora Duse o del minore Gabriele, tra aiuole e fontane scenograficamente di– sposte dal maestro e donno degli xilografi, De Carolis. Quella era la realtà sorprendente. L'amico tale, nuovo giunto alla scuola di recita– zione, chiamato (lui felice!) tra le statue, i leggii, i candelabri, i torceri, i cuscini e le· stoffe della misteriosa, Capponcina, per incarnarvi Aligi proprio dinanzi all'autore della Figlia di Jorio e alla divina sua inter– prete; Gabriellino, che ti mostrava di soppia.tto il superbo manoscritto paterno della Fiaccola sotto il moggio, rosso e nero (nero il testo e rosse fiammanti le didaséalie) su sonante carta a mano filogranata, e poi s'investiva della parte di .Simonetto (oh, oh, oh! Sono un povero malato .... oh, oh, oh! Altro non posso che morire .... ) precisamente di quegli anni che Sergio C-0razzini (oh, io sono veramente malato! io non posso, mio Dio, che morire .... ) si preparava a passare dalle serre calde ed opalescenti dei poemi para– disia,ci al freddo nero cubicolo di Campo Verano: ecco gli idoli; e perfino 32. - Ptgaso. BibltotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy