Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931
M. GROMO, I bugiardi 495 niano) Gromo ,era già un felice bozzettista; un rapido osservatore di ambienti torinesi, un vivido acquarellatore di figure e di figurine. Il meglio di questo ro:rrianzo mi pare che sia a-nc6ra da riportarsi lì. Una cert'aria torinese è resa bene. E questa volta Gromo ha lasciato gli am– bienti più convenzionali e tradizionali della sua città; e ha scelto angoli nuovi e più ricchi di vita, anche se spesso si tratti di una vita equivoca; giovanotti e ragazze che vivono facilmente tra loro, ai margini della, ric– ehezza degli altri, dell'arte, del teatro, della mondanità. Ma il titolo I bugiardJi e la prima impostatura del Libro promettono troppo: sembra che lo S<;rittore voglia spalanca,re sotto i nostri occhi illla bolgia di peccatori; e invece nel libro è molto scarso H senso del peccato. C'è un'intima diS<;ordanza, una irrimediabile imparità ti>a la natura dello S<;rittore e le sue intenzioni. Nel suo segreto, l'autore non se ne scandalizza mica troppo dei suoi bugiardi. E forse non ha torto. Infine, che peccatori sono questi, ,se li paragonate un momento ai filibu– stieri dei romanzi di trent'anni fa; per esempio ai Barbarò e ai Can– tasirena di Rovetta ? Può anche darsi che disegnando il suo romanzo « ottocentesco »'questi esempii Gromo li abbia avuti in mente.... Ma le malefatte dei ,suoi bugiardi al confronto, più spesso sembrano a noi (e forse anche a lui) soltanto ragazzate. Non per nulla, i capitoli più caldi e felici del libro sono proprio quelli che dipingono, non senza una certa simpatia, i facili amori torinesi di Marga Negrelli; i convegni automobilistici dopo il teatro, l'economica garçonnière, le civetterie alla finestra o per telefono, e la bella elegante figliola che, per non sciuparsi le mani, si prepara il pranzo e sbuocia le patate coi guanti di gomma. Oh città favorevole ai piaceri ! Queste sono le cose che Gromo vede bene e le vede di cuore. E quel circolo dei canottieri, quelle regate sul Po, e la casa ospitale della signora Teresa, la sala d'aispetto del tribunale, il caffè San Biagio. Ma le scene forti, e i peccatacci neri, i peccatori grossi non sono per lui. E non sono per lui neppure i candori troppo candidi. Nelle poche pagine, verso la fine del libro, dove l'autore s'investe di un certo as– sunto moralisti,co e, a contrasto coi suoi bugiardi, disegna le figure esemplari di Giulia e di Luca, dà subito nel convenzionale. E anche lo stile che nel Gromo è sempre mobile e facile (qualche volta però tira via: « il tinello era un po' tutt'altra cosa, con una credenza di larice verni- .. ciato ecc.»), anche lo stile •sismorza, non è più quello. Il parto di Giulia: i< Verso il mezzogiorno i suoi lamenti divennero grida, ci fu un andiri– vieni agitato per le camere e per i corridoi. Un urlo come di morte, di– sperato, atterrito, squarciò la penombra. Poi un breve silenzio; e dopo qualche istante un querulo vagito». Va bene che si nasce tutti allo stesso modo, ma è difficile immaginare un tratto più convenzionale, più qualunque di questo. E la bimbetta di Giulia : « La bimba aveva già degli strilli gioiosi, inframmezzati da profondi gh, gh, non appena vedesse la mamma, un fiore, un colore». Da un romanzo di vita, eccoci caduti nella Bibliothèque rose. PIETRO PANCRAZI. BibliotecaGino Bianco
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