Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

378 s. QUASIMODO, Acque e terre trovare quel filo di un progre,sso stilistico, e interiore, che pure esiste e fa l'interesse della breve raccolta. In ogni caso, l'attenzione e la cono– scenza de-gli accordi che si sono successi sulla nostra recente tavolozza poetica, .aiutano a, fornire il bandolo della matassa; e la poesia di Quasimodo si rivela in una dozzina di brevi liriche (Angeli, Alberi) Inverno) Peso) Prima volta) Creatwre) Sole) Riva, Ariete) Ricerca, Con– fessione) alle quali sarebbe ingiusto negare un cordiale riconoscimento. L' evoluzione evidente del Quasimodo è quella che porta dall' abilità alla poesia, dall'artificio che pesa all'espressione che fa dimenticare la propria origine difficile e avventurosa. E non sono poche, in realtà, le esperienze che si riflettono nella parte puramente sperimentale del libro : da Veglia a Nassabothi che ricorda il liberismo di alcuni poeti del primo gruppo màrinettiano, al gusto parnassiano di Tormenta) di Battere al buio, fino ai molteplici ondeggiamenti di Convegno e di altre liriche affini. Ma l'aspetto, naturalmente generico, di tali esperienze non è mai volgare e non fa mai pensare a dipendenza di scuola o a insinceirità; nel Quasimodo è sempre chiara una iniziativa, una dignità di ricerca che si è risolta dapprima, in difetto di poesia originale, in notevoli e sempre aristocratici accorgimenti di stile. Evidentemente il giovane poeta s'è preparato all'illuminazione lirica con un fervore d'attesa quasi asce– tico; e confido ch'egli vorrà perdonarmi un linguaggio che rischia di farlo confondere con una turba poetante di neo-m:i:stici. È un r:i,schio che conviene correre; perché mistico, e senza' rimedio, è il gesto poetico che queste liriche rivelano. Si tratta, tuttavia, di un sentimento anc6ra inarticolato, diffuso, - o che noi, almeno, preferiamo quando è tale, anteponendolo .a:lle sue formulazioni più precise (« Signore degli Ulivi, - la tua sete m'insabbia la gola» .... « E ti sfidai, Signore) dopo il male) - in segreto, come ogni bambino» .... ); - e che si dimostra nella consapevolezza delle « corri- spondenze» che uniscono lo spirito alla natura, nella brama, di un infinito « ohe superi ogni ora - nel tempo ohe parve eterna», d'uno spazio che « d'angeli morti sorride», d'un paradiso che attende « il suo dio d,anima e di pietra». Indicibile sentimento, forse il solo fecondo nella lirica contemporanea. S'ha da chiamarlo soltanto romanticismo? La definì• zione si attaglia in qualche modo alle prime e vistose poesie del Quasi– modo; meno assai allo ,scrupolo, all'aerea levità delle .sue recenti no– tazioni: « ]jJ quel gettarmi alla terra - quel gridare alto il nome nel silen– zio - era dolcezza di sentirmi vivo». « Dolore di cose ohe ignmo - mi nasoe: non basta una morte - se eooo, più volte mi pesa - con l'erba sul cuore una zolla>> .... « Altr~ sole da cui mi venne - questo peso di parlarmi tacito ». « Il fiume cammina più vasto - da presso, e il sonno m'è strano_ dei rovi e dei canneti - oome fossi non. mio, - da me ,stesso soordato ». Tali alcuni momenti di questa poesia, quand'essa non preferisce l'audacia, delle analogie, il giuoco dei ponti gettati fra significati lontani e discordanti di parole e in genere le molteplici risorse acquisite al sentimento poetico contemporaneo. Ed è, nelle parti più notevoli una poesia c)ie tende ad alzarsi con la leggerezza del respiro e a 'ritr~vare BibliotecaGino Bianco

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