Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
C. ALVARO, Vent'anni - La Signora dell'isola 377 modo di veder la, realtà con subiti trapassi nel fantastico e nel sognato, e che tante volte pesò sulla sua arte come un portato arbitra-rio d'una mente complicata. La realtà qui è assunta nel suo essenziale valore, e l'aria tutt'intorno vibra, si scalda e oscilla, e tien sospesa l'anima, come . quell'incognito indistinto che è l'ultima dolcezza della musica corale. Man'cano certo facoltà analitica e virtù nel descrivere le pas– sioni e collocarle prosipetticamiente; ma c'è pure un modo d'arrivare a rappresentazioni grandiose con un multiplo di sensazioni. Lo sforzo maggiore che il lettore ha da fare, è dover attribuire nomi e carat– teri ai vari personaggi, e ricordarsene, per un'abitudine che r~siste iin lui di continuare a, considerare il romanzo come romanzo, con una unità di sviluppo. Quel ritrovare alla, fine tutti, a finir di rappresentare la loro parte, dopo che essa già facevano tutt'uno, e parlavano a una voce insieme accordandosi, dà un'impressiione strana. Ma dimenticati i nomi, rinunciato che s'è alla comune coerenza, siamo portati a dare un valore nuovo e diverso a tutto, e ritroviamo per vie segrete quella ragione che prima,, per quanto la cercassimo, ci sfuggiva. Alvaro pubblica ora anche un nuovo volume di racconti, La Signora dell'isola. Né nell'Amata alla finestra, nè in Gente in Aspromonte c'era rit~scito di leggerne tanti di tanta forza, Celina, Gioia, Il _canto di Co– sima, I denari, Fa.ncvulla al ballo. Domani, forse, di nessuno ricorde– remo più la vicenda, ma qualcosa, sempre, ci rimarrà nella, memoria: certi segni, atteggiamenti, ,immagini; non come si ricordano i tratti . salienti d'una pittura, ma con un misto di impressioni che richiamate ad una ad una da un'ignota potenza intorno si raggruppano e più che i colori suscitano voci lampeggianti. Io so che questa. è un'arte che molto fa conto sull'inespresso, ma, so anche che dentro v'è chiuso un segreto di novità da vincere i più restii. Nel Canto di Cosima, ad esem– pio, la fossa che il Timpa si scava per nascondersi nella campagna al Delfino, il brigadiere che senza pace lo va ricercando, pare scavata in anticipo per segno di lutto, quando la morte di Cosima prima d'ucci– derlo lo farà impazzire di dolore. E nell'altro racconto, I denari, la faccia della moglie di Sebastiano Antona che Raffaele Galla, tornato dall'America, dopo vent'anni, crede un momento sia la moglie sua, tanto la pena dell'attesa ha consumato i tratti e i ricordi della gio– ventù, è la trasfigurazione nel dolore di tutte le ,infelici che nel vil– laggio hanno aispettato i mariti che non tornarono più. Così da una realtà fortemente ,sentita ecco nascere il simbolo, con troppo rapida violenza, forse, come nel romanzo con affannoso disordine. Ma quel- 1' affanno io credo, spogliato che sia dagl'impacci, ritrascritto con più semplice abbandono (e Alvaro lo può) resterà la più ricca testimo– nianza delle sue qualità di scrittore. GIUSEPPE DE RoBERTIS. SALVATORE QUASIMooo, A.eque e terre. - «.Solaria)), Firenze, 1930. L. 7. Il libro del Quasimodo non è di quelli che si rivelano senza difficoltà. I componimenti' in esso riuniti appartengono evidentemente a per.iodi assai lontani l'uno dall'altro, e la, loro disposizione non ci aiuta a ri- ibliotecaGino Bianco
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