Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

376 U. ALVARO, Vent'anni - La Signora dell'isola Parla per tutti Luca Fabio, e dà il tono a quella comunità di istinti. Ra idee ,sulla guerra Luca Fabio ? NesSfllllo propriamente ne ha; o sono solo ombre di idee. Partire, per lui, combattere, è un continuare a sof– frire. (Vedremo p,erché io dico «continuare»). Il cannone che al primo avviso di guerra gli era apparso, in teITa di pace, sotto l'aspetto più faJniliare nient'altro che un aratro, poi si fa, in ore di sangue, una mano gigantesca che fruga, o come una macina. Questa è la faccia del nemico, il senso della gu~rra è questo : guerra anonima, sacrificio senza compensu. Viene in mente ora Serra, nel suo disp,erato Esame di co– scienza; e c'è in quelle pagine cli Serra, anche, il respiro della coloooa marciante, come fosse l'esercito, anzi il popolo tutto quanto, di cui questo romanzo è la trascrizione co,rale. Più forte Alvaro di .Serra, o, che è lo stesso, Luca Fabio. Non è una forza consapevole, lo so, d'una vita cresciuta e fiorita; ma quella sola dell'istinto e della natura. Ve– nuto d.a una terra ,sterile, nemica, senza peso di storia, sa che cosa è fatica, dura fatica, da sopportare con l'ossa e con la pazienza. E la guerra è « una quintessenza della fatica umana più primitiva». Un momento, un momento solo, pròva nèll'anima un dissidio. S'era figu– rato H mondo diverso, a contrasto, proprio, col paese dov'era nato; desideri e immaginazioni avevano fermentato in lui. Questo sarà il boocone più amaro da inghiottire. Ma sarà come riprender fatica dopo la vacanza. E la riprende infatti, vicino, fraterno ai più umili soldati, ai più poveri; quelli a cui la morte, quando •son morti, non ha più nulla da asciugare, stenti come sono, e spr,emuti dal bisogno. Ecco, baste– rebbe che quei soldati avessero con ,sé le loro donne, e la guerra non s 1 arebbe più guerra o, tutt'al piùJ una pena da aocetta.re giorno per giorno, senza peso e pensiero del domani. Luca Fabio è come Io,ro. Un'ombra di fede, una sorta di fatalismo lo assiste, in questo essersi rifatto primitivo («,sarebbe strano che io, povero di tutto sempre, mo– rissi tanto presto »), ma non va oltre. La logica stessa del libro nei suoi tr,e tempi grandi (la preparazione alla guerra, la guerra, il ritorno) non sembra incoraggiare altro. Ho detto «ritorno», ma non è che un riposo, riposo per ricominciare. Fino a quando ? Finché comanderà il destino. La morte del-colonnello Salvi è pianta sulla fine, dal suo stesso generale, come disperatamente eroica ,soltanto. ( « Ma io non ti ho chie– sto tanto, Salvi, perché? Perché lo hai· fatto?»). Allora? Più è nella verità quel soldato, quel povero ,sold.afo, che dalla S!lla·trincea tira, alle mosche. - Questa è una guerra, - par che dica, - che va stancata con la pazienza. Veuà l'o•ra. Ma non l'a.ffretterà d'un minuto solo il sacri– fido né d'un uomo né di cento uomini. Questa è guerra anonima, guerra che scoraggia i propositi eroici. Di qui riconferma,to, anc.6ra, il carattere corale d.iquesto libro, di que– sto libro che è tutta azione, immediatamente resa e espres·sa, prima quasi d'essersi fatta coscienza. Non è sempre così, e pur dovrebbe essere. Perché qui appunto è il vizio delle parti stanche o ingombranti: dove l'azi~ne stagna, o dove 16 scrittore sii fa bravo apposta. E questa era materia da esser trattata senza· i~terferenze di bella scriittv-ra. Ma il corpo del romanzo resta, direi, intatto. Sono i capitoli grandi, terzo sesto ottavo dove il realismo magico di Alvaro funziona in pieno, dico quel su~ BibliotecaGino Bianco

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