Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
G. CIVININI, Odor d'erbe b1ione 371 un ele\ ento ai fini d~l'eyidenza,. « Dei grandi carri militari, tirati da pariglJ di bei maremmanoni, entravano in città da Porta Nuova, gui– dati da cavalleggeri dell'Allevamento puledri col berrettino a due punte e i pantaloni che sotto il ginocchio diventavano gambali di cuoio, come si rivedono nei quadri del Fattori». Se n'è andato tutto il ,musioale, e con esso quell'alone, come dire?, di grazia mondana. È rimasta una consistenza, una sodezza visiva, ch'è la migliore garanzia di intuizione genuina. Niente vibrazioni sentimentali, ma una, fermezza, che se il do– lore la incrina-, fa proprio male al cuore, mentre prima era piuttosto un blandimento di vaga malinconia. L'ultimo capitolo ha un titolo, Morte del bimbo provinciale, nel gusto dei Sentieri e le nuvole, e che sarebbe piaciuto, per esempio, a Corazzini, il più crepuscola,re dei crepuscolari. Ma leggete, vi prego, le tre pagine sull'arrivo dell'autore e della sua famiglia, un'alba di dicembre, a Roma, dove il padrigno « pensionato, cavaliere, e veterano delle patrie battaglie», aveva voluto trasferirsi: « A me avevano dato da tenere un panierino con gli avanzi della cena fatta in treno, e un fiasco con ancora un po' di vino : e cosi carico me ne andavo muro a muro, pieno d'avvilimento e di vergogna. Siccome pioveva a vento, una raffica più violenta, all'angolo d'una strada tra– versa, rovesciò l'ombrello alla mamma e portò via il cappello al padri– gno .. Scena che s'immagina: il Cavaliere a correre come dietro una ruzzola, sgranando tutti i moccoli del suo dialetto; la mamma, pove– rina, col cappellino per traverso, attaiccata al manico dell'ombrello ri– dotto un cencio, a lottare col vento che glielo strappava di mano». E più sotto: « strusciando ai muri come un povero canetto randagio, guardavo da sotto in su il padrigno che marciava in testa col cappello infangato sul1e ventiquattro, e mi pareva di odiarlo, pover'uomo, non per altro che per quel colletto di caucciù che gli stringeva la collottola sanguigna di buon bevitore. Gran pena mi faceva il mio fratello grande, insaccato com'era in un orribile pastrano color pulce che gli avevano spedito da Lecce, i fratelli Bocconi: e a guardare la mamma, con ad– dosso quel suo vestito buono, fattole tant'anni prima da una sartuccia grossetana, e gocciolante acqua da tutte le vecchie frangie di scìniglia, mi veniva da piangere» . .Sopra la fascetta réc_lame, con la quale il volume è oggi in vetrina, si leggono queste parole di Ugo Ojetti all'autore: « .... perfetto dal principio alla fine per quella· grazia maliziosa e commossa, per quella bontà delusa, ma sempre pronta, che sono la grazia, d'ogni tua prosa .... ». In Morte del birnbo provinciale la -commozione soverchia la grazia ma– liziosa, ma la « bontà dl)lusa » c'è tutta. Un commento a quel « sempre pronta» potrebbe darlo il capitolo dal cui titolo deriva anche il titolo al libro. Civinini un giorno ha preso le difese di un compagno di scuola, « un bimbo ,esile e sbiancato, col viso lentigginoso, e gli occhi celesti pieni di bontà e di sgomento», contro un maschiettaccio della classe superiore che gli ha dato « del bastardo e gli ha sputato addosso». Il bimbo muore. E una mattina la mamma di lui, della quale si sussurrava ch'era una « poco di buono», si trova, a camminare a,ccanto al superstite condiscepolo : - Tu sei Civinini, vero ? - La, interrogante ha un povero viso magro e .disfatto ma bello, in cui ardono due grandi occhi neri BibliotecaGino Bianco
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