Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

362 F. p .ASTONOHI, I Versetti FRANCESCO PASTONCHI, Versetti. - Mondadori, Milano, 1931. L. 15. Che cammino ha fatto Pastonchi, che vittoria su se stesso ha otte– nuto con questi Versetti! Dopo averli letti e riletti, dopo essermeli goduti e assaporati, a misurare la distanza, ho vo_luto riprendere in ma1:1O le vecchie raccolte: Sul limite dell'ombra, Il pilota dorme, Il Randagio, le Italiohe •... Il fiuto m'aveva ben consigliato a lasciare presso che intonsi quei piccoli o grossi volumi. Poesia in genere gelida, decorosa, esorna– tiva, anche bella a volte, ma non so come inutilmente bella. E sempr~, poi ingombrante fastidiosa, la presenza del poeta, mai cosi forte da di– me~tkarsi di sé, per oggettivarsi, - in che sta la vera affermazione della personalità del poeta, - in un fantasma, in un'immagine, vivente di una sua propria, vita. Qualche poesiòla sì staccantesi dalle altre, ma con un'intonazione degna del peggiore Musset, se non anche addirittura stec– chettiana. Creazione a mezzo, poesia superficiale, abbondante e vuota. Diciamo la verità : Pastonchi non aveva una fama inferiore 1:1,i suoi me– riti: sernmi:1iproprio il contrario. Gli avevamo fatto fin troppo credito: eravamo stati anche troppo generosi con lui. Ma se, nonostante le diffi– denze, gli volevamo bene, e avevamo fiducia. in lui, che sapevamo a modo suo intento al suo lavoro, e devoto e fedele, se nonostante la diffidenza gli volevamo bene e non l'avevamo obliato, gli è che non potevamo di– menticare che, volere o no, Pastonchi ci aveva dato qualche lirica, qualche sonetto, scritti e accordati come si sapeva fare una volta: qualche gemma da antologia, che era con pieno diritto entrata nelle scelte che,·si leggono nelle ,scuole. Nonostante tutte le apparenze e tutte le ragioni, senza sa– pere nemmeno noi forse il perché, Pastonchi tutti lo stimavano (è curiosa, ma è cosi). Ma oggi, davanti a questo libro, mi pare che non ci sia più possibilità di diffidare. Bisogna far tanto di cappello, e ammirare. Comprf'ndo bene che, malamente o -distrattamente lette, molte di queste liriche possano scolorirsi di poco o di molto fino a perdere tutto l'incanto. Poesia è cosa delicata, che va toccata, con mani delicate, che bisogna saper leggere, sapere« eseguire>>. :ma volte di una levità aerea cùe un soffio, un nulla può dissipare. Questo è certo. Ma è anche vero che un troppo esperto e abile lettore riesce non solo a rendere più bello quello che già per se stesso è bello, ma proprio a continuare, a correggere l'opera del poeta,. dando snellezza, freschezza _a ciò che invece è agghindato, ha peso o grmze, sostenendo un dis-corso poetico cascante e sciatto, scio– gliendo i nodi e le dure,zze; riesce a nobilitare, a spiritualizzare quello che nobile non è nato, creandovi attorno come un alone di sfumature. Sembra nulla, ma è tanto invece l'arte di leggere (di leggere, dico, anche solo a se stessi). Ma a quel modo che essa riesce a scoprire una bellezza che si cela, che non a tutti si rivela, così può anche col più leggero tocco aggiungere colore, malinconia, dolore; può portare un'immagine piò in alto: esaltarla. Illusione? chi sa dire ? Chi può -stabilire dove finisce l'opera dello scrittore e cominç,ia quella dell'interprete? dove finisce il « Dante i? ~ » ~ cominc~a il « Dante p~r noi>) ? Anche per questa ragione, quando SI giudica, la diffidenza è legittima, anzi necessaria. Queste leggiadrissime liriche poi di cui è composto il volume di Pa– stonchi sono la più parte cosi tenui, e insieme cosi sapientemente la- BibliotecaGino Bianco -

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