Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
346 U. Ojetti rale. Si vuole cioè far sapere che il tale r,estauratore può, quando vuole, dipingere come Antonello o come Tiziano. Giù il cappello. E infatti, a leggere i giornali, non sono che scappellate. Soltanto, dopo il caso Dossena e dopo il caso, diciamo, Antonello, non mi pa,re che ci s'abbia da scervellare per capire pel'ché il commercio delle antichità sia in Italia un poco in ribasso. La Madonna della Seg– giola chi l'avrà dipinta? Un restauratore milanese o Raffaello da l::rbino? Alvaro e i critiei. 15 febbraio. Corrado Alvai·o, rispondendo a una domanda di Emico Rocca, ha detto amabilmente ad alcuni critici suoi utili verità che non valgono per lui solo: due, sopra tutto. La prima è che taluni « per va– luta,re lo scJ:ittore ricorrono a tutto, meno che a,lla natura dello scrit– tore stesso. A proposito di me ho veduto tirar fuori confronti e citazioni come queste: Freud, ]?roust, Verga, i tedeschi, i russi, le favole popo– lari, Giovan Battista Basile, Teocrito, Borgese, con un credito troppo largo alla mia capacità di assorbimento. Esiste poi un_'altra categord.a di <:ritici che sull'opera da giudicare formano un loro pastiohe con pa– role stereotipate di cui si potrebbe combinare un prontuario: clima, tempo, flusso, dimensione, durata.... Si può essere accettati o condan– nati nel nome di una concezione qualunque dell'arte, ma non alla mi– sura di termini sprovvisti di senso». Le due specie si potrebbero ridurre a una: dei critici che vogliono, prima di tutto, far bella figura e per i quali l'autore da giudicare non è che un'oocasione qualunque, il tavolino su cui salgono per parlar-e al pubblico, se il pubblico acconsenta a far- circolo. I primi vogliono mostrare la loro onniscienza, i secondi la loro profondità. Quelli pen– sano d'essere il sole, che illumina insieme il filo d'erba in fondo alla valle e il picco abbagliante in vetta al monte Bianco; i secondi ,sono i bei tenebrosi che avvolti in un mantello nero cr-edono di rapir-e al pas– saggio tutte le anime, e chi li incontra pensa inv~e che si sieno cosi inta,barrnti perché sotto non hanno né giacca né camicia. Di questi crit1oi ve n'è anche fuori d'Italia, ma poiché da noi il buon senso è an– c6ra tenuto in un certo onore, qui fanno· tra i coHeghi un certo spicco. I meno pericolosi, perché nessuno li legge, sono gli apocalittici dai termini senza senso, uno tolto a Croce, uno a Bergson, uno a va'.. léry, uno magari a Oharles Du Bos, che, tutti insieme, come la ruota deii colori, fanno bianco, cioè niente. Ma se li legge purtroppo l'autore e, se_si lascia prendere per orgoglio o per pa,ura da quel rigirio meta– fisico, perde anche il vocabolar-io. L'autore di Gente in Aspromonte è solido e tranquillo, per fortuna sua e nostra, e procede didtto· per la sua strada seguito dalle siue crea– tur-e, ché, tante e· tanto vive e cinte cosi dalla folla come da un alone magnificante, pochi altri scrittori, italiani e non italiani, ne hanno di questi tempi messe al mondo. 1 BibliotecaGino Bianco
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