Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930

702 U. Fracchia davo di male in peggio; mettevo ogni impeg1no !Ilel parere ciò che non ero., pigro e corto d'ingegno; e mentre·, per mio conto, divo– ravo tutti i libraicci di viaggi e avventure marinaresche che mi ve– nivano a mano, i libri di scuola rimanevano i!Iltonsi e di studiare non mi davo pensiero. l!Ilta.nto non ero più un bambino: avevo pas– sato i quindici anni. Fu allora che mio pad~e, dopo aver tentato inutilmente ogni altro mezzo, credette di correggermi col mand'armi mozzo sopra u,n veliero. Era una di quelle tartane che fanno il pic– colo cabotaggio, caricando marmi in Apuania e vino !Ilelle isole. Mozzo, o garzone che dir si voglia, il mio compito era quello di la– vare il ponte, vuotare la spazzatura, arrampicarmi in cima all'al– bero e sull'asta di fiocco: e in compenso malllgiare gallette e dor– mire in una lurida cuccia da cane. Dura vita! Mi dimenticavo di dire che il pad'ro!Ile portava i!Il cintura una grossa correggia di pelle d'ippopotamo. Tuttavia, per puntiglio, sopportai per quat– tr'a1I1ni quella g:J,lera. Un giorno, :fì!Ilalmente,caddi dall'albero e mi fracasbai questa gamba. « Quella caduta non mortale era un avvertimento del Cielo; ma esso giungeva troppo tardi, ed io la scambiai per fortuna. Infatti, ricuperaw l'uso della mia gamba, per qualllto anc6ra ci zoppichi dopo trent'anni, ma divenuto inabile a servire sopra Ulllveliero, lo zio Co_stanzo, ormai persuaso, con mio padre, che quella fosse la mi-a vera ed unica vocazione, trovò modo d'imbarcarmi come allievo sopra un piroscafo che faceva il traffico col Mar Nero. Incominciò allora veramente la mia carriera di mari!Ilaio. Io imparai, sul Dar– dania, a servirmi della bussola e del sestainte, a leggere in una carta nautica, a tene11e il gior!Il'aledi bordo e gli inventari, e acquistai le altre poche nozioni e la molta esperienza di cui è fatto il nostro mestiere. Rimasi dieci anni su quel piroscafo che allldava a caricare grano a Odessa . .Si partiva regola-rmeinte il primo d'ogllli mese pari da Oenova, e da Odessa il primo d'og1ni mese dispari. Erano sei viaggi l'ann o, o dodici, calcola111do separatamente quelli d'andata e di ritorno : centovem.ti in dieci an!Ili. Per centoventi volte consecu– tive, in U!I lsenso o nell 'altro, io seguii quella rotta, toccando ogni volta Patrasso, Salonicco, Costantinopoli e più raramente Costa1I1za. Qnella che era stata la mia passione. di ragazzo a poco a poco, senza che io quasi me ne accorgessi, si cambiò in abitudine. Il bisogno fece il resto. « Ero-al mio terzo viaggio sul Dardania quand'o mio padre morì, lasciandoci, posso dire, poveri. Dovetti allora pensare a mia madre, e questo pensiero mi portò a considerare come cosa IIlon solo natu– rale ma provvidenziale la perdita d' og,ni libertà la solitudine il tedio i disagi e i pericoli che sono il quotidiano companatico del marinaio. Del resto la forza dell'abitudine è tale, che io ben presto cessai di sentire quanto il mio stato fosse lontano da tutti i sogini BibliotecaGino Bianco

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