Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930
Il Vico scrittore 667 dove io non mi vergogno parlare con loro e domandare della ragione delle loro azioni, ed essi per loro umanità mi rispondono 1 ). E non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tntto mi trasferisco in loro. Lonta1n,oda me il reo proposito d'infliggere al paziente lettore, sulla base rdi codesti oontatti (d'a.ltrOIIlde, meramente fortuiti), un paralle1o tra il Machiavelli e il Vico, che potrà, se mai, fo!'imare oggetto di apposito discorso. Ma sÙà pur lecito, io credo, osservare a gui;sa d[ conclusione che contatti del genere (e ce n'è anche altri) non ,potevano 1mancare tra i due, malgrado l'apparente abisso che talvolta li separa, dal momento che in essi l'animo era egualmente alto. Ed egualmente alto, perché egualmente semplice, ingenua, commossa, e '~plillto perciò oggettivata con tanto calore d'arte, la fede nei loro ideali. FAUSTO NICOLI~t. I) E, in qualche modo, anche il Vico: « Due pratiche .... nel meditar quest'opera (la Scienza nuova) abbiamo sempre avuto .... La prima pratica è stata: Come ri– ceverebbono queste cose ch'io medi.to un Platone, un Varrone, u,n Quinto Muzio Scevola ? La seconda pratica è stata quella: Come riceverà queste cose ch'io scrivo la posterità ? ». Si veda anche il De mente heroica, ov'egli congiungendo il precetto all'esempio, incita i suoi discepoli a domandarsi a loro volta, se si occupassero di _ \ medicina : « Quid, si haec quae meditor scriboque, ipse audiret Hippocrates ? >>; se di giurisprudenza: « Quid, si haec audiret Cuiacius ? >>; se di teologia: « Quid, si haec Melchior Canus audiret? >>. BibliotecaGino Bianco
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