Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930

Il Vico scrittore 619 il Vico c'è UID.a differenza, è che il discepolo, da buon discepolo, esa– gera il maestro, dando al periodo paludamento più togato e lati- 111eggiante)senza riuscire a dissimulare la fatica durata a costruirlo a pezzo a pezzo e le fonti letterarie messe a profitto (per esempio « da cotal desio portato>> di provooienza da111tesca). Ma, naturalmente, tal quale come nel De Sanctis rispetto al Puoti, troppe cose erano nel cervello del Vico che non erano in quello del Di Capua e sop,ra tutto dei capuisti, perché 1110n gli riu– scisse d'acquistare, ainche come scrittore italia1110,una fisionomia quanto mai personale. Tanto più che fra i due idoli della sua giovi– nezza, il Di Caipua e il Oomelio, le sue simpatie letterarie ,si vol– gevano maggiormente verso il secood'o, che dei due possedeva illl– gegno più scientifico. Cosicché, ·dopo aver continuato a trecenteg– giare e toscUJneggiare in qualche altra prosa giovanile, bastò che, circa il 1699, venisse a conoscere o ripensasse che « 'l Cornelio 1noo era valuto in lingua toscana>> perché deliberasse di « abbandonarla >) per ((tutto co111fermarsinella latina>>, ossia credesse meglio eff0111- dersi in veneri stilistiche soltainto nei componimenti latini, oon– tentandosi in itali3Jno d'UJno scrivere meno arcaico e alquanto meno togato. Il 1110n essere restato di lui dal 1699 al 1711 alcuna prosa italiana (salvo una lettera,, che d'altronde è degli ultimi del 17LO) ,no111 consente di mostrare come siffatto proposito venisse prima– mente attuato. Aog111imodo, quando nel 1711-12 si servì dell'italiano per rispondere alle critiche del Giornaie de' letterati d'Italia al De antiqiiissima Italorum sapientia, e ancora più quando dal J 72..~ in poi mise quasi del tutto da banda il latilllo per avvalersi anche 111egli scritti scientifici dell'italiano, il Vico non serbava altre tracre deU' antico mpuismo se n-Ollla tendenza, fors'aJnche qua e là ac– oontuata, al periodare chilometrioo (senza più, per altro, o soltamto con rare inversiooi alla latina), qualche arcaismo (« continovo )), «Capova)), cccalog111àre)), «assemprare)), ecc.) e qualche leccatura tosca111istica(« arà >>,« arebbe >> e perfino « arò >> e «arai))) : arcaismi e leccature che, oon destino oomune a tutti i napoletani tosca111eg– gianti, non gl'impedivano, malgrado la sua vigile cura, d'i,ncorrere in qualche napoleta111ismo (« balici)) per «valigie)), «ascelle)) per «ali)), eoc.) o in qualche volgarizzamento parte111opeodi frasi to– scane (« non si fa passare la mosca per innanzi alla '[Yllln,ta del 1J1aso ))) che, inCiJ,stonato nel bel mezzo d'uno di quei periodi solen111i, fa un curiosissimo vedere. Pure, a differenza iil0111. solo del De Sainctis, ma amche del Puoti, che, mentre trecenteggiava e toscaneggiava in iscritto, amava ili– scorrere nel più realistico vernacolo !Ilapoleta.no (l' « AutomedOIIlte, ergi il soffietto)), l' « Appropìnqua.ti, o villico, e arranca 'l sospen– sacolo, che per lo lu111go equitar reso si è prolisso>> e altre frasi d~l genere sono invenzioni satiriche di antipuotisti), il Vico regj;ò sem- Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy