Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930
644 .F. Nioolini in una serie di ritmici precetti, esemplati esattamente, sulle Dodici Tavole. . D'altra parte, la lessicologia e la fraseologia l~tine del Vi~o, e particolarmente del Vico giova1J1e,più che ciceromame e cesaria1J1e, si rivelano plautine, terem.ziane, sallustiane. Modellato, per esem– pfo sulla Catilinaria e non a torto da Vincoozo Cuoco messo, an– che' per vig,o·redi for~a, accarn.toa questa, è il De part~n~pea oon~1-i– ratione (1702) : senza dire che riecheggiamenti letterari di Sallnsho, oltre che nelle Orazioni inaugurali e nel De antiqillissima Italorum sapientia (1710), si risentono perfino in-ella prosa italiana della se– co111da Scienza muova. E, quanto a Plauto e Terenzio, è da sog– giungere che da 101·0,più che dai qualsiasi altro scrittore latino, il Vico trae nelle sue opere esempi e citazioni (per esempio nel r<Sed quom cogito, equidem certo sum >>dell' Amphitrito plautino egli ad!ditò pel primo un precedente letterario del « Cogito, ergo -;uro» cartesiano); a loro attinge a preferenza quelle che egli chiama « pruove :filo1ogiche>> delle sue teorie ;filosofiche (per esempio, mercé interpretazioni sforzatissime di passi dello Pseudolus plautino e dell' Eu'Y/IU,ChuS e dell' Heaittontirnorivmenos terenziani riusci H.d al– legare, a sostegno della sua scoperta :filosofica della oonversionp del vero 111el fatto, l'immaginaria silllonimia :filologica « factum =ve– rum >>) ; su loro restano tra le sue poche carte superstiti parecchi appunti di lezioni u1J1iversitarie e private : indizi tutti d'una spic– cata predilezione, risalente senza dubbio agli anllli giovanili. Nei quali, a ogni modo, si co1J1osce che il Vico adoprava due «pratiche>> 111el10 studiare gli scrittori latini: non interporre tra sé e l'autore la ;perso111a di qualsiaisi i1J1terp,rete,ma, mettem.do da parte lessici e commenti, avvalersi sempre di 111ud i testi e, sem plicemente per il significato di voci tecniche, ricorrere a,1 N omenclator omniitm re– rum dell'olandese Adria,no Giu111io de Jo1J1ch (1511-75); e leggere quei testi tre volte di fila: la prima, per comprendere· l'« unità)), ossia l'insieme dei componimenti; la seconda, « per vedere il séguito e gli attacchi delle cose>>,vale a dire per cercar d'apprendere la diffi– cile arte dei trapassi; la terza, per raccoo-liere frasi o com'egli dice . o ' ' « le belle forme· del concepire e dello spiegarsi>>, che, per a.Jtro, non seppelliva, c0111forme l'uso delle scuole, nei così detti «frasari;) ma 111otava in margine ai libri stessi che leggeva, per farne poi uso' più acconcio nelle sue composizioni letterarie. ContemporaJneamente a codesto studio della bella forma latina il Vioo continuava più che mai, secondo aveva già cominciato dal~ l'ad~les_cen~a, a~<vivere pre~iudicato nel -poetare>>,ossia a comporre poesie italiane in quello stile 1,1ltrabarocco (oo « seicentismo del seicentismo )), com'è stato detto) che dal 1660 circa avevaJno messo in_moda a Napoli il leccese Giuseppe Battista. (1610-75), il catanes~ Grnseppe Artale (1620-79), antore del famigerato sonetto sulla -Mad- BibliotecaGino Bianco
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