Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930

Il Vfoo scrittore 643 della Rinascenza italiana, cli cui il Vico ricorda per la « facoodia >> Paolo Giovio, e per la << dilicatezza >>Andrea Navagero. Tra que~te, noill sola.mente Cicerone, Catullo, Virgilio e Orazio, - ia.oliautori citati a tal proposito nell' A1~tobiogmfia, - ma gran parte degli scrittori dell'alta latÌillità, non esclusi eruditi, grammatici e1letimo– logisti, dei quali altresi, e partioolarmente di Varrone, Festo e Gel– lio, le opere vichiane mostrano una conoscenza più o meno profoillda. Per altro, preferiti fra tutti furono da un lato gli scrittori precice– roniani, e in particolar moclo i frammenti delle Dodici Tavole, le oommedie plautine e terenziame e Sallustio; dall'altro, Tacito. Noill è il caso di ripetere quanto è stato già detto dal Croce in– torno all'illusioille del Vico che tra i suoi « quattro autt•ori )), ossia tra le foillti precipue della sua filosofia, foss;e lo scrittore degli -ln– nales e delle Historiae (gli altri tre sarebbero stati Platone, Bacone e Gr,ozio). Giova piuttosto aggiungere che fra i motivi di quell'il– lusione fu anche, e forse principalmente, una simpatia letteraria cosi spiccata da potere esser quasi definita un'affinità elettiva. Quella s.olennità, maeia:toia:ità e concisione di stile, quel saper trovare sempre la frase propria, rapida, sensuosa, che col minimo delle parole dicesse tutto, conquiser,o tanto più rapidamente il giovane studioso, in quanto codesti pregi stilistici, allora latenti e Ìiil germe, indi fioriti rigogliosamente in certe pagine della maturità, erruno i suoi. Da ciò, con la sua caparbia modestia, il suo costante atteggia– mento cli discepolo devoto verso lo storico latino; da ciò, pel pre– sunto maestro, quell'ammirazione sconfinata, che culmina in un abbozzo di commento filosofico agli A1Vnali (1740), in cui sono donate a Tacito le maggiori scoperte dell',origi111alissimafilosofia politica vi– chiana; da ciò il suo aver lette le opere tadtiane, dalla giovine·zza fino agli ultimi momenti di vita, ben trentacinque volte, in ciascuna delle quali aggiunse sempre nuove postille nei margini d'un suo esemplare, posseduto anc6ra alla fine del Settecento da suo figlio Gennaro (1715-1806), indi miseramente disperso. Ra-gi,oni analoghe, ossia, come si vedrà, la sua spiccata tendenza alla forma epigrafica e aforistica, indussero il Vico, fin dagli anni giovanili, a compiere uno studio amoroso dei frammenti delle Do– dici Tavole : studio per allora soltalllto letterario, indi esteso in tal guisa da formare arg,omento d'una particolare monogra,fia (1731 ), contenente in forma definitiva la sua maggiore « discoverta >> di sto– ria romailla. ·E come ancora 1I1ellaseconda Scienza nitova (1730-441 gli piacque d'elencare in altrettante leggi le caratteristiche del- 1' « eroismo de' primi popoli>>; così nell'Autobiografia non riesce a dissimulare la compiacenza per una delle prime Orazioni inau– gitrali (1700), ove, perfezionando un procedimento letterario ado– prato da Cicerone, aveva saputo configurare lo svolgimento d'una sua tel'li (Dio condanna gli stolti a una guerra perenne con se ,:;tessi) .B1b o.eca Gino Bianco

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