Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930
B. CROCE, Aestheticct in nitce 759 zione del Croce al travaglio dell'arte contemporanea, legga il paragrafo su Classicità e romanticismo, nel quale egli s'accosta al« problema prin– éipale del tempo nostro» nel campo dell'estetica: la soluzione cioè della crisi determinata, nella poesia e nel giudizio della poesia dalle dot- . ' t.rme e dal sentimento stesso dell'età romantica: crisi che si continua, secondo il Croce, attraverso il realismo il simbolismo l'impressionismo il decadentismo, anche ai giorni nostri, con l'espressionismo e il futu– rismo. Il Croce è un rigido paladino della classicità: « il problema at– tuale dell'Estetica è la restaurazione e difesa della classicità contro il romanticismo, del momento sintetico e formale e teoretico, in cui è il proprio dell'arte, contro quello affettivo, che l'arte ha per istituto di risolvere in sé, e che ai nostri giorni le si rivolta contro e cerca di usur– parne il posto». Come è noto, per il Croce, la, crisi è anzitutto morale e religiosa, e solo per indiretto letteraria : non la si vince pertanto con innovazioni, e neppure con restaurazioni, retoriche, bensì solo raffor– zando o creando nei singoli individui e nella società europea tutta una nuova e più alta e sicura fede. ,se è vero che, muovendo da questo prin– cipio, il Croce rifiuta poi con troppo risoluta, severità quasi tutto il fervore di ricerche della moderna letteratura, si deve d'altra parte ri– conoscere che nelle sue parole trova alfi.ne espressione adeguata l'aspira– zione, che è dei migliori, d'un'arte e d'una poesia più vere e meglio con– sapevoli dei loro fini e della loro tradizione. ~ ATALil\O 8APEGNO. GIOVANNI CoM1sso, Giorni di guerra. - i\fondadori, Milano, 1930. L. 10. Dal primo suo libro, anno 1924, Il porto dell'arnore, Comisso si può dire non abbia, lavorato che su un tema solo, spogliandolo a poco a poco del troppo, scarnendolo, e alla, fine riuscendo ad arricchirlo. Avventure di terra e di mare, né grandi né nuove forse, ma narrate con spirito av– venturoso, una facoltà inventiva, un senso giovanile di tutto, e l'arte, ora a complicare quel tema, ora a dargli risalto: ecco Comisso . .A leggerli di seguito questi quattro libretti, Il porto dell'amore (192.J.), Al vento dell'Adriatico (192-7), Gente di mare (1928), Giorni di guer-ra (1930), un progr~so c'è; ma un progresso c'è anche nelle magre settanta pagine del primo. Così che un lettore, mettiamo il più avveduto, non fa in tempo, davanti a certe parti malate, corrotte, a adombrarsi, che già Comisso, per suo conto, ha provveduto a ridurgli al minimo il peso delle ragioni. Il libro, è vero, si chiude con un perduto rimpianto per la favola, breve, alla quale Comisso aveva legato la giovinezza, e la sua fame d'avventure; ma è un rimpianto per il fatto in sé, spogliato quasi di scopo, trasportato nell'irreale; e poi, due, tre volte, il desiderio acutamente avvertito di liberarsi di tutto, d'uscir dal chiuso, da quel porto stagnante, dove un'impresa leggendaria soffocava nella piccola realtà, e in un mortificato abbandono. I ricordi di guerra, di un'altra guerra, si riaffacciano all'anima sazia, con forte richiamo, e la voglia di correre nel mare aperto, vivere e soffrire. Comunque, questo sentimento, questo giudizio balenato dalla stan– chezza, non toccherebbe che il cuore, il cuore dell'uomo solo, e aprirebbe Biblioteca Gino Bianco
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