Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930
M. UAT.ALANo, Vita di Litdovico Ariosto ecc. 755 Anche il Catalano insiste nel disi;;idio interiore che ha travagliato il Poeta fra l'ardente aspirazione alla libertà e la necessità di subire il peso increscioso d'una servitù nemica della libertà e della poesia : un dissidio -che, a pa,rer suo, ha forse impedito a Ludovico di darci chi sa quali altr~ ·opere! Lo Scolari, nella sua recente Vita dell'Ariosto, ha negato questo •dissidio più a?}parente che sostanziale, « il qua,le, - ripeto quello che ho detto altrove a proposito del volume dello Scolari, - ha la sua fonte non in un atteggiamento dello spirito indocile ad accettare la realtà cosi ·come impongono le circostanze della vita, ma, soprattutto in un.a ten– -denza, di origine quasi letteraria, e perciò non sempre sincera, ad esa– gerare le difficoltà, a colorire i disinganni, a presentare come un tor– mento questo contrasto fra realtà e sogno, in modo che al lettore ap- 1paia insanabile, mentre, a guardare bene e senza preconcetti, non si ved~ che da parte del Poeta, almeno in quanto dipendeva dalla sua volontà, si compia alcuno sforzo veramente serio per eliminare o atte– nuare le cause di questo dissidio». Messer Ludovico nulla fece per sot– trarsi a questo giogo cortigiano, anzi si sa che protestò clamorosamente cogli amici appena Ippolito lo licenziò dal suo servizio perché aveva osato rifiutarsi di seguirlo in Ungheria, e non ebbe pace finché non fu .accolto da Alfonso . .Senza dubbio aveva ragione di rammaricarsi che altri, di lui molto inferiori, godessero agi e libertà maggiori ; e riconosciamo volentieri che per i letterati un posto in corte era una inevitabile n~cessità per -sbarcare meno male il lunario; ma ciò non può impedirci di riconoscere che egli si lagna esageratamente e un tantino anche a torto. È questo, del resto, un difetto che gli si può facilmente p_erdonare, mentre sten– tiamo a perdonargliene un altro che affiora da un documento, perché investe la tanto ammirata rettitudine del Poeta. È il documento 135 che riporta un rogito del 1507, stipulato fra un tale contro il quale era .stato intentato un processo e l'Ariosto che s'impegna, previo pagamento di dieci ducati d'oro, di far trasferire o destituire il giudice incaricato del processo perché sospetto, e procurare che il processo sia affidato ad altra persona, più sicura. Il Catalano tenta· di attenuare la brutta impressione lasciata dalla lettura di questo rogito dimostrando che il giudice era un disonesto e che i tempi consentivano certi mercanteggiamenti; iJ fatto però pur troppo è vero, e .ci piacerebbe di poterlo dimenticare seguendo il Poeta nelle piccole speculazioni tentate per guadagnare onestamente trattando i suoi a:fl'ari, vendendo o affittando vacche, combinando socide e soste– nendo liti. Anche lì liti, le quali non furono poche e furono quelle che soprat– tutto avvelenarono la- pace del cantore d'Orlando, specialmente quella lunghissima e dispendiosa mossa contro la Camera ducale per riavere la tenuta delle Arioste. La esposizione documentata del Catalano, mentre prova l'insistenza con la quale l'Ariosto lottò fino alla morte per difen– dere i diritti suoi e dei fratelli, getta un'ombra. sulla figura di Alfonso, che non solo non s'interessò perché fosse re13a giustizia al suo illustre servitore, ma dietro le quinte guidò i Fattori ducali a tirare in lungo BibliotecaGino Bianco
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