Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930

75-! M. CAT.A.L.A.NO, Vitci di Liidovico Ariosto ecc. Nella seconda parte del volume accanto alla figura di Ludovico do– mina quella di Ippolito, ma non più nella tradizionale posizione cli Si– gnore incolto, ingrato e tormentatore del povero poeta incompreso e mal pagato. Il Catalano ha fatto giustizia (sempre ricorrendo a documenti), di questa diffusa opinione, i.spirata dalla simpatia verso il Poeta, i cui lamenti affidati alle SaUre hanno trovato facile accoglienza nel cuore dei lettori e, diciamolo pure, degli studiosi. Ippolito è carico di difetti gravi e di colpe non piccole; il Catalano non lo nasconde nel profilo che gli dedica; ma nei riguardi dell'Ariosto, suo cortegiano stipendiato, se non ha il merito di essersi comportato con troppa generosit à come Au– gusto con Orazio, non ha neppure il torto di averlo tratta.to con volgare noncuranza e con esosa avarizia. Nel leggere i capitoli di questa seconda parte, come risalta bene, - forse più di quèl che non dica o pensi lo stesso biografo, - il carattere brontolone clell'Ariosto che sfoga il suo esagerato malumore contro Ip– polito perché non lo lascia ai suoi ozi poetici, salvaguardati da una, sia pure non lauta, provvisione, cui è contento di dare un contorno non povero di beneficii ecclesiastici! Ludovico se la prende, - è cosa nota, - cogli uccellatori di beneficii, ma sapete quanti il Catalano ha messo in chiaro che l'Ariosto ne ebbe a godere ? Tredici e più. Sono pagine curiose queste che il Catalano dedica ai beneficii eccle– siastici, che servono a spiegare pa,recchi passi delle Satire e che contro l'opinione, comunemente accolta, rimUJsero in parte al Poeta anche dopo la rottura col Cardinale. I documenti parlano chiaro e dimostrano quanto esa,gerate fossero le sue querimonie intorno al trattamento che ricevé in quindici anni di « mala servitute ». Non meno curiose e inter.essanti sono le notizie sulle condizioni eco– nomiche del buon Ludovico, le quali conclude il Catalano, ma non troppo in armonia, mi pare, coi resultati delle sue ricerche, fossero poco floride. O io m'inganno, o i beni portati a Nicolò Ariosto da Daria Malaguzzi, l'eredità paterna, sia pure ,suddivisa fra i figli, la provvisione estense, spesso accompagnata da donativi e da agevolazioni nell'acquisto dei vi– veri, i proventi dei beneficii ecclesiastici e delle terre concessegli e poi l'eredità del cugino Rinaldo, sia pure decurtata della bella tenuta delle Arioste, e quella del biscugino Alfonso e il fidecommisso dello zio Ludo– .vico, e i guadagni del Commissariato garfagnino, pur non posseduti o goduti contemporaneamente, rappresentano via via un buon patrimonio. Lo stesso peso della famiglia che gli fu reso meno gravoso dalle cure che ne ebbe il fratello Gabriele, si ridusse dopo il 1501, in fondo alla si– stemazione del fratello Ales~andro e· dellar sorella Tacldea, che' si sposò v.erso il 1517, e al mantemmento della madre, che scomparve, pare, verso il 1522. Ma c'è di mezzo, - si dice, - quella benedetta poesia che esigeva li– bertà e tranquillità di spirito, mentre i doveri di cortigiano lo distrae– vano continuamente. Anche qui bisogna non esagerare. Se l'Ariosto com– pose il F1l-rioso, attese meticolosamente alla sua definitiva stesura per la stampa e dette compimento alla Oassaria ed ai Suppositi in prosa, ed al Negromante nella prima redazione, mentre era al servizio del Cardi– nale, di libertà dovette averne a sufficienza. BibliotecaGino Bianco

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