Pègaso - anno II - n. 12 - dicembre 1930
732 U. Ojett-i - Lettera a Giorgio, per i suoi vent'anni perché tu possa finalmente pensare ad altro : a te stesso, voglio dire, e non ai tuoi concorrenti e rivali i quali sono oggi i veri padroni tuoi, del tuo corpo, della tua volontà, e del tuo tempo. Bada: quando ti dico che l'uomo no:g. è tut to com preso nel cittadino, non nego che tu -debba essere uomo di parte e ave.re nette e schiette opi– nioni politiche e debba difenderle all'ora bu ona co n tutto te stesso, e anche con quel tanto d'intolleranza che i duri tempi e la tua età com– portano. Ma affermo che l'uomo pubblico tanto vale quanto vale l'uomo privato, e la sua forza è quel che sono la sua. ragione e la sua coscienz~ affilate sulla cote della realtà nell'esercizio che quotidianamente egh ne avrà fatto come medico, come ing()gnere, come sdenziato, come in– dustriale, comfl mercante, come agricoltore, come soldato, come scrit– tore, e via dicendo. Onorevole? Eccellenza? Vai sùbito al sodo sotto la spuma: è quel tale veramente un uomo da onorare, e sugli altri eccel– lente, e perché ? So che non tutti possono far della poli.tica come Dante tra due cantiche della Commedia, come Machiavelli tra due capitoli delle Storie; ma per la media degli uomini questa è la via più sicura e più degna verso il comando politico : non fare della politica la propria arte e professione esclusiva, ma trattarla come la guerra e la milizia, le quali si fanno quando occorre e allora. si dà ad esse tutto, anche la vita. Ad aver la sete del comando immediato, di cui so:(frf tu e soffrono tanti gio– vani e compagni tuoi, s'è piante di poche radici che il minimo vento svelle ed uccide; e nessuno è più misei:o di coloro che, appunto p,e.rché mancano di radici, sono pronti a.claccettare ogni incarico pur di sopra– stare, e dalla, scuola passano lieti e leggeri alla diplomazia, dall'igie_ne 1 all'.aviazione, e se te li trovi davanti a trattar con te fatti del tuo me– stiere, s'affannano a dirti chi e che cosa essi rappresentano, non sapendo dirti che cosa essi sono : attaccapanni e non uomini. E i nostri vecchi l'attaccapanni lo chiamavano il servitore. Dunque, prima di tutto, pazienza; poi, discrezione; infine, chiuditi 1 n:el tuo stu_diolo davanti ai tuoi libri e lavora, e non chiedere e non accettar pubbliche cariche eh.e quando sarai sicuro, perdendole, di trarre un sospiro di felicità perché potrai tornare padrone di te stesso, al tuo vero lavoro. Mentre scriv,evo queste parole, è venuto a trovarmi tuo padre. ,Gli ho dato a leggere queste pagine. M'ha detto: - Temo che solo tra molti anni Giorgio s'accorgerà che hai ragione. La sua malattia non ,è tanto l'ambizione quanto la fretta; e rlubito che sia guaribile p,e.rché è un male troppo diffuso. A vent'anni egli trepida come se ne avesse sessanta e la sua vita stesse p_er chiudersi domani, inutile e deserta, - e ripeteva l'epigramma pel quale iersera tu andasti in collera: che i più cercano il comando non per lavorare ma per guardare gli altri lavorare - che è un modo anch'esso d'amare il lavoro. ' Non è H caso tuo: d'accordo. Ma io non ho scritto soltanto per te. Non mi tene,re il broncio per la predica troppo lunga. Con affetto, il tuo · UGo OJETTr. BibliotecaGino Bianco
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