Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
.Addio (J,lla Tina 457 l'ordine sparso che avevo imparato ed esercitato, mi popolava il piam.oe la collilll.a di uomini in corsa, di squadre appiattate, di sbalzi fa m.tastici, di cauti strisciameinti. M'arrestavo di tanto in tanto e guardandomi iJntor[Jl,O mi chiedevo: che cosa faresti se il nemico fosse dietro quel filare di viti o se il fuoco, venisse da quella collina ? E come procederesti se ti fosse dato l'ordine d'avanzare fin sotto quelle siepi o quell'argim.e ? Come assaliresti quel gruppo di case o t'i mpadrO!nire sti di quella fattoria isofata coi cipressi intorno, spie eccellem.ti per gli osservatorii d'artiglieria? E cco che avevo già dimenticato la Tina. Per ricondurre il mio pem.siero a lei, cercai d'immagim.are la sua vita durante quei quattro anni che non ci (;ravamo visti. Assai rare erano state le lllostre let– tere. Sapevo ch'era andata a Parigi, p,oi a Roma, poi non ricordavo bene se a Napoli o a Palerm(). Tutte queste sue peregrinaziollli me la facevano immaginare iJn lotta 0O1I1 la vita; ma pem.savo alla sua energia volitiva ed ero sicuro che non si sarebbe perduta. Degli amici m'avevano racco1I1tato ch'ella s'era preso un amante; altri, che l'avevan rivista, m'assicuravano che non era più la Tim.a d'una volta. Anche lei del resto nel suo ultimo biglietto mi diceva che l'avrei trovata molto cambiata. « Vieni, sono in casa di mio fratello, dovrò r accontarti tante tante cose che tu forse neppur lontam.a– mem.te immagini)), Io avevo tentato, senza speranza, di raggiun– g erla, così per uoi bisogl].o di salutar tutte le persone care prima di partire per la guerra; e la fortullla aveva voluto ch'ella si· trovasse proprio all-0ra tàntò vicina ·a Firenze, im.casa di suo fratello. Ed ecco ch'i-0 ci andavo ed ero un poco commosso. La Tina! .Sì, ma io m'ostinavo a figurarmela sempre famciulla. M'aspettavo una casetta. Era invec,e ullla villç1;,a metà ,del colle, tutta soleggiata. Mi fecero entrare come persona attesa e cooo– ·sciuta. Nell'atrio mi venne incontro ullla giovane signora, bionda come il ciuffo della pam.nocchia. Per esser tedesca, come compresi subito dall'accento, ella parlava l'italiano, anzi il toscamo di quei poggi, con disinvoltura. La sua vivacità pareva leggermente ca– ricata. Era la cognata della Tina, la padrona. Si capiva, a prima vista, ch'era lei la padrona là dentro. Mi disse che la T im.a stava poco bene e che m'aspettava nella sua camera. Poi, colll irruem.za, cominciò un discorso sull'Italia che aveva fatto ulll gran male a mettersi dalla parte della Francia. Rimasi sbalordito. Non le ri– sposi nulla, perché desideravo d'essere al più presto con la Tim.a. Ma lei non s'accontentò del mio silenzio, mi chiese colllprovocazione che cosa ne pensassi io. Timidamente, premettendo U!ll « cara si– gnora)), osservai che, per me, l'Italia aveva fatto benissimo. Cre– devo che m'avrebbe tenuto il bro nci-0, illlv ece s'animò 0JI1chepiù di prima. Doveva avere proprio la smam.ia della discussio1I1e. Anche suo marito, - mi disse, - la pensava così e litigavano illlsieme tutti BibìiotecaGino Bianco
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