Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
G. ~RANIOLo, Lo spirito e l'arte dell' « Orlando Furio.~o » ecc. 493 car3Jttere di donna: guerriera), cosi come Virgilio più amorosamente trattò di Enea, pensando. di farlo ant~nato di Augusto. E lo stesso accade per quella che si può chiamare la «religione» del- 1' Ariosto : bastava pensare alla serietà e nobiltà intima dell'uomo, leg– gersi la satira a Pietro Bembo, o almeno il capitolo del Toffanin (Il Cinquecento, Va.nardi, Milano, 1929), dove questa satira è cosi magi– stralmente analizzata. Ma per il Raniolo l'Ariosto non è che un ironico e malizioso schernitore, finissimo è vero, ma in fondo irriverente : e questo lo po_rta a una falsa valutazione del famoso viaggio di Astolfo nella luna, dove tante pagine, anche in sé tutt'altro che spregevoli, sono buttate invano. C'è satira, è vero, in quel viaggio, e taglientissima, ma satira solo delle umane debolezze, della falsità mondana, della vanità di tanta parte della nostra vita, che non coinvolge per nulla la salda coscienza del poeta, anzi direi quasi che ce lo fa apparire spietato giu– dice, itnche se sorridente. Il suo scetticismo non è distruttore, ma superiore e, caso mai, indul– gente. E del resto come Elipuò immaginare una satira, anche religiosa, vigorosa e sostenuta, mordente nella vera vita, come quella di Ludovico, senza presupporre un robusto concetto della vera virtù, e una, sana cr.e.– denza nella religione dei pa!'J,ri ? Anche qui non ho che da rimettermi al To:ffanin, per non ridir cose già dette: mi basterà" citare un verso, acre e sdegnoso come tanti delle satire, che più da vicino riguardano alla pra– tica della vita, ed è là dove egli parla della Corte di Roma, e dei costumi dci cardinali che in certa stagione « a guisa delle serpi mutan spoglia >>. Credo che sia, difficile dare la giusta misura del valore umano di certe sentenze, di èerte ironie, di tante amare verità, quando ci si ostini a far dell'Ariosto uno svagato sognatore, il quale vede si con occhio limpido il mondo, ma è ben sciolto, anzi diremo troppo sciolto da ogni • I umana passione. Ma illlfine le parti più alte del poema, quelle più vere, dove più alta batte l'ala della poesia, sono pur sempre certi episodi, la fa.vola di Angelica e Medoro, Rodomonte ip. Parigi, la morte di Zerbino, il duello a Lampedusa, Orlando che piange Brandimarte .... E vero, ma come sarà possibile comprendere la profonda uma– nità di questi tratti, quando si faccia astrazione dal disegno di tutta l'opera, quando ci si tolga del tutto dalla mente quelli che con-energica locuzione si possono chiamare gli « interessi pratici>> del poema ? La battaglia attorno a Parigi è veramente grandiosissima e tremenda, ma l'epicità sua è anche frutto d'un arditissimo gioco di prospettive, per cui Parigi ci appare quasi una nuova Troia, e noi ne sentiamo tutto il valore di .estremo baluardo dell'Occidente; sentiamo che sotto le sue mura centinaia di migliaia di uomini, e principi e re, e duchi ~ paladini si affrontano, nel cozzo di due civiltà. Non per nulla Rodomonte si ri– promette, in un impeto di feroce orgoglio, di « arder Parigi e spianar Roma ,Santa>>: Roma, e Parigi. Non per nulla Rinaldo,_ arrivando con l'esercito di soccorso, in una magnanima orazione ricorda ai soldati che . essi salveranno non una città qualunque, né i soli Parigini, ma l'impe– ratore, ma cittadini e guerrieri di tutto l'Occidente. Il duello di Lam– pedusa ci appare appunto così eroico perché noi indoviniamo, alle spalle BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy