Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930

492 G. RANIOLO, Lo spirito e l'arte àell' ,< Orlando Furioso» ecc. note particolari recenti del Catalano e di altri, non s'è pur data la pena di scorrere lo Sforza ( Do01t1nenti inediti per servire alla vita di L. Ariosto, Modena, 1926); ch'egli non ha neppur studiato l'epistolario. Ci sono in esso, specie nella parte più cospicua che è il carteggio tra l'Ariosto ed il suo Duca, quand'egli era commissario in Garfagnana, delle lettere rivela,_trici (ed una, nobile e interessantissima, era già stata osservata e giustamente valutata persin dal Tiraboschi !), dalle quali si rilevano molte semplici verità. E cioè che i ·Duchi d.a Este (che, tra parentesi, pur colle loro innegabili magagne, erano personaggi degnis– simi d'ammira zione), non solo jlmavano i· loro Ferraresi, ma ne erano altresl ama.ti con quella devozione tradizionale che sola, al dir del Ma– chiave lli, con servò loro lo stato nelle più disperate congiunture; che l'Ariosto ebbe sempre per Ippolito ed Alfonso, soprattutto pel secondo, un devoto e sincero attaccamento. Che, per quanto i du.e.fratelli (e di questo egli sempre si dolse) non l'onorassero molto come poeta, l'uomo continuamente mandato come rappresentante ai papi nei momenti più burrascosi e scelto come la più fida compagnia ad Alfonso nella terribile avventura del '12, il commissario di Garfagnana cui ancora nel '25 veniva offerta la carica, fissa di ambasciatore a Roma, era ben lontano dal servire. ignobilmente e irosamente « per un pezzo di pane», ma aveva anzi una posizione a corte tutt'altro che meschina, e, per molti riguarò.i, più .che onorevole. :m proprio la corrispondenza tra Ludovico e Alfonso· che çi mostra nel Duca un signore irritabile e autoritario ma risp_ettoso e pien di fiducia, nell'Ariosto un'officiale di carattere straordinariamente indipendente, libero e franco, ma affezionato. Certo egli non si lasciò ingannare da tuttociò, e amò sempre fare animose rimostranze quando gli pareva d'aver ricevuto un torto, e vantar la sua indipe~denza; t dir chiaro che i benefizi furon sempre in cambio di servigi, e non lo legano, .e. che se molti fanno gran conto di lui, e. s'immaginano troppo onorevole la sua condizione perché egli serve si gran Signore e cena quando vuole col Duca, tali ubbìe non gli danno alla testa, ed egli preferirebbe essere indipendente del tutto : ma tutto ciò non guasta, anzi dà alle relazioni tra quei q.ue uomini una certa qual aria di reciproca libertà che fa più sincero l'attac camento. Certo l'Ariosto·, pur preferendo (comP. dice) il servizio del Duca a ogni altra professione, ne fu disturbato nei suoi lavori poetici, e se ne lamentò, come sempre usano fare letterati e poeti, messi davanti alle necessità della vita pratica: ma non lo si iUpinga, per carità, come un astioso, sempre irritato pel suo mestiere di diplomatico, come un pover'uomo nella vita, solo anelante di ritirarsi nella mitica torre d'avorio. Ma tutto questo, si dirà, che importa a un critico del Furioso? Im– porta, e moltissimo. E appunto perché senza un'esatta idea della posizione dell'Ariosto a corte, dei suoi sentimenti riguardo agli Estensi, è molto facile svalu– tare ed accusare di adulazione le parti del poema che alla casa ferrarese più strettamente si riferiscono; non solo, ma riesce assai difficile avere ben chiaro il concetto di una certa classicità d'intenti nel Furioso che portò l'Ariosto a disegnare più nitidamente e abbondantemente 1~ av– venture di Ruggero e Bradamante (e perciò quel mirabile e delicatissimo BibliotecaGino Bianco

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