Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

11$6 S. Benoo quell'irlrundese in guerra· con l'lillghilterra era adesso quella del cittadino britannioo iln guerra con l'Austria .. Accettarla non era bello, e tanto meno ri:p.negarla. . E la guerra : sentiva egli quf?l gralll problema che pesava su tutte le coscieinre? Aveva egli già scritto, nell'incominciato Ulysse'S, la famosa frase: « La storia è un incubo, dal ,quale tento di risve– gliarmi>>? Dopo breve tempo, Joy<;e scomparve dalla città. Aveva ottenuto di potersi recare iln Isvizrera. A Trieste, avvicinandosi il conflitto con l'Italia, le autorità imperiali non amavruno custodire citta~ini di Stati nemici. Joyce andò a Zurigo: e da quell'uomo ch'egli fu sempre, o tale almeno lo giudico, ilnflessibile nella propria rotta in– teriore, tenne fermo alle sue costruzioni d'art~, e non badò ad altr,o. Gli stavano avvenendo oose meravigliose. Il successo di Du– bliners, lui loiiltano; il prez:w principesco pagato in America per il manoscritto, e perfino .per le bozre di stampa, del Po_rtrait of the artist as a young man; la piena tranquillità materiale per l'ogg~ e per il domani; l'indipendenza guadagnata allo spirito. Era di buon umore (mi dice il mio amico Antonio Battara, che fu suo compagno nell'esilio elvetico) e si passavano ore deliziose ad ascol– tare i suoi ruforismi e i suoi paradossi. Parecchio tempo passava a letto, scrivendo Ulysses; spesso si mescolava con gli altri esuli irlandesi, e li aiutava a fondare una compagnia di « Irish players )), che, improvvisato un teatro, vi recitavano la sua commedia del tor- _ mento, Exiles. Anche la signora dello scrittore recitava talvolta, e molto bene. Come diversivo, egli ebbe ,qualche scenata burra– soosa col console britrunnico. Forse si tratta-va di quell'episodio di Ulysses che, màndato manoscritto in Inghilterra, riuscì tanto in– comprensibile alla censura da farglielo giudicare un documento cifrato; e si persuasero solo ,da ultimo di aver a fare con « U1I1 ge– nere di letteratura ancora sconosciuto>>. Lievi cose. La più grave fu la malatti!li agli occhi, della quale Joyce ilncominciò a soffril'e ·molto seriamente. A me qualche eco giungeva di tutto ciò 1I1elmio luogo d'esilio, medirunte i giornali di Zurigo e di ,Monaco. Joyce era divenuto de– cisamente u!Iluomo celebre. Un giorno ebbi la visita ilnattesa del fra– tello di lui, Stan Joyce. Relegato io a Lilnz, sul Dainubio, egli chiuso nel vicino accampame!Ilto di Kafaenau, Ulll giorno d'uscita mi portò i saluti dello scrittore. Ebbi dunque sulla favolosa av– ventura della. sua celebrità più precise rnotizie; ,Stan Joyce anche mi disse che gli inglesi erano stati oolpiti da urna specie di classica nitidezza nella prosa di suo fratello, e da una costruzione musicale dei periodi insolita !Ilei loro autori. Egli era un uomo :iintelligente, norn u!Il letterato, e tutto l'opposto di umo «snob>>: e ,queste sue notizie mi furo!Ilo preziose. Alla seconda sua visita, mi portò Du- BibliotecaGino Bianco

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