Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Ricordi d{ Joyce 155 -------------- prendoillo come pugni certe nostre imposizioni polemiche dei nomi dei nostri grandi, di Michelangelo, di. Leo111ardo,di Galileo; li am– mettono, ma non voglioillo pigliare dei pugni. Si capisce che egli tenesse le sue opinioni di letterato un po' alla larga da quella che era allora la letteratura .triestina. Frequentava, molto i nostri teatri, e reputava gli italiani i primi attori e primi ca111tanti del mondo; leggeva sul Corriere le critiche dra;mmati– che di Giovanni Pozza, e le trovava lucide e acute (più tardi egli mi lodò anche quelle di Renato Simoni). Mostrava interesse per pa– recchi musicisti di Trieste; ma dei propri lavori letterari 1I1onpar– lava se non COillSvevo, molto più vecchio di lui e già da parecchi anni « autore locale dimenticato>>, e col dottor Prezioso, a cui aveva fatto leggere, manoscritte, le novelle che poi composero il vo– lume Dubliners. Quest'ultimo me ne parlò con molto calore, e mi preannunciò una grande sorpresa quando sarebbero state pub– blicate. O-0rreva l'ultimo anno prima della guerra: le 111ovelle Du– bliners uscirolllo proprio quando scoppiava la guerra mondiale. Io allora non le lessi; no1I1seppi 111emmenodell'avvenuta pubblica– zione; a Trieste non poterono arrivare. Avevo l'impressione, - tanto è difficile penetrare la vernice di freddezza esteriore che copre gli spiriti nordici, - di non aver sa– puto lasciare in Joyce alcuna traccia a· mio va111taggio. Sapevo che 1I1eimiei r-0manzi giovanili egli aveva trovato m-0lto da ridere, benché purtroppo fossero scritti sul serio : di ciò non gli facevo torto: ma pensavo che gliene fosse rimastl:li, più che indifferenza, diffidenza verso l'aut-0re. Più tardi, ebbi prova che questo 1110n era vero, e Joyce, che è veramente un'anima fedele, mi tr,attò sem– pre da amico. Egli stesso, forse, immaginava che io norn avessi in– travvediuto in lui l'uomo d'ililgegino. E in tal caso si sarebbe ing3Jll– nato. Benohé· fossi ben lontano dal supporre c-0ntenuta neUa sua testai la gigantesca equazio111e fra enciclopedia e vita, dell'a~tore di Ulysses. Scoppiata la guerra, eooo Joyce a Trieste prigioniero a piede libero, cittadin-0 di Stato 111emico nelle mani dell'Austria. Aveva dovuto smettere l'insegnamernto all'Accademia di Commercio. Anche le lezioni private si era1110 _proba,bilmente diradate. Già da tempo diceva egli di aver ililsegnato l'inglese ormai a tutti i triestini e di dover accingersi a cambiare città: ma tante oose si dic-0no, ed egli era a Trieste profondamente attaccato. La guerra dovette ilI1 su le prime scombussolarlo, dargli quel senso di crollo degli -0rizzo111ti che in'ebber-0 tanti uomini di pernsier-0. Lo si i111contravaper le vie, cam– minante col suo p asso rapid-0; ma tutto assorto in se stesso, le labbra inchioda.te da una linea dura a perpendicolo, sc-0ramento neo-li o cchi e perp lèssità. Salutava con. un lung-0 sgua.rdo, ed evi– ta;a di trattenersi, di scambiar parole. La posizio111eufficiale di ibliotecaGino Bianco

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