Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930
Fogli di Diario 9 p otesse pren der la mira ·e scagliare la sua rozm :fiocina. Poco dopo li ved:i.amo riapparire già distanti, una frotta di sei o sette, che galoppando sulle onde placide si òirig0010 al largo sulla nostra sini– stra. I ma,rinai hamno abbandonato :fiocina e fune, e oon facce deluse li guardano filar via ,senza voltarsi ind ietro. A llora, ricor– dandomi ,di ciò che- Plinio Naturalista dice dei del:6.ni, che « nomen Simonis omnes miro modo agmoscunt, maluntque i ta appellari )), tengo loro questo discorso : << È cosa v-ecchia e risaputa, e mi fa, specie che si ,debba insegnare a marinai mica lapponi e groellandesi, ma -avvezzi come voi a solcare le acque di questo nostro Mediterraneo; che per attirare i delfimi bisogna chiamarli: -- Simo111e ! - e.solo cosi essi acoorrono d'ocili e ubbidienti, c,ome a chiamar Fido Utn cane. Il 111orne dei delfini infatti è Simone, e il perché appare chiaro, dato che essi hanno il muso schia,c,ciato, 'rostrum sirnum ', e 'sirnus' vuol propriamente dire, in latino, camuso. Ma ditelo in greoo, che è la liJngua dei del– :fiil'li,e -direte: ' sim6s ', e quasi sarà come sentirvi chiamare Simo' per Simone, allo stesso modo che sovente chiamate Anto' per An– tonio, Giova' per Giovanni, Pasca' per Pasquale, e cosi .via, 1110n starò a darvene altri esempi. « Ho 00111-osciuto rnn gran sigmore d'altri tempi, di nome Augusto, il quale ·andava ogni anno a villeggi11re nel 111apoletamo;e, fra i molti suoi servi e mezzadri, c'era un povero oonta,dino cbe aveva un figlio piocolo dli. appe,na sett'arnni. Tutti i sam.ti giorni il ragaz-. zetto, a piedi, ÒOVP,Va am-darsene a scuola da Baia a Pozzuoli. E sic– come la strada è lunga, spesso in riva al lago Lucrino si riposava all'ombra di qualche alber-o. Un giorno, mentre se llle stava seduto, vide nel lago Ulll delfino, e incominciò a chiamarlo : - Si,rnone ! - e a buttar,gli qualche pezzetto di pane ; e oosi facendo per molti giorni di seguito, :finì che il delfino gli si affezionò come un cucciolo. Il bambino lo chiamava per nome, e, qualunque fos se l'ora, o il luogo dove se 111e stava nascosto, ecco il d~lfilllo accorrere saltell am.do, rnam– giare il p,am.enella mam.odel suo piccolo amico, e poi, ritratti gli aculei della pinna dorsale, porgergli la schiena perché quello vi montasse a cav~llo. E il bambino vi montava, e il mostro, ;percor– rendo gram ·tratto di mare, lo portava a scuola a Pozzuoli, e poi amòava a prenderlo per riportarlo a caisa. Questo durò qualche amno. Finché, morto il bambino per malattia, il delfino cootillluò per lungo· tempo ad aspettarlo flilluogo usato; e, non vedendolo più ritornare, com.e uno che soffra e si c,onsurni, amch'esso morì poco dopo, 111essu1110 ne dlubita, di dolore. « Del resto di un delfi.1110 di questa sorta, e anche più bizzarro, raccontamo quelli di Ippone Diarrito, che è un paese dell'Africa. Non solo mangiava tramquillamente nella palma della mano, ma si fasciava anche accarezzare, e ruzzava con i bagna,n~i 1 e li portava iblìotecaGino Bianco
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