Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

M. BORGESE, La Contessa Lara 117 stasse. Ma anche in queste la sua frequenza non era assidua; e cosi anche nella redazione dei giornali dove collaborava si faceva vedere soltanto quando aveva da portare un' suo scritto. Poi scompariva. Si sarebbe detto che volesse rimanere nell'ombra. Quando usciva d'una stanza dove erano riunite altre persone, sembrava che sgusciasse fuori. Non che fosse impacciata nei movimenti: il suo corpo sottile aveva conservato intera la grazia armoniosa, ogni suo atteggiamento riusciva raffinatamente morbido come una meditata carezza. E neppure la preoccupava di partecipare, di animare anche la conversazione con persone diverse, intorno a vari argomenti: aveva la parola pronta e pure abbondante, non di rado l'immagine colorita, l'arguzia felice, possedeva parecchie corde alla sua lira, diciamo così, e poteva discorrere opportunamente con letterati, artisti, uomini poli- • tici e signore. Ma, anche camminando, desiderava di non far rumore; e la conversazione, per essere gradita, non doveva prolungarsi molto. Aveva sempre tante cose da fare, tante lettere da scrivere, tanti po– veretti ai quali recare aiuto ! E si imponeva che nella giornata nulla fosse dimenticato; che tutto fosse compiuto esattamente, secondo l'or– dine prestabilito. Ella, la donna irregolare per fatalità, aveva per con– suetudine l'ossessione della regolarità. Cosi riuscì a non mancare mai a nessun obbligo assunto, lavorare moltissimo, pur essendo, in sostanza, fino all'ultirlio, scarsamente ri– munerata; e, in fine, poté lasciare una eredità quasi cospicua, e che il destino immutato di lei volle andasse dispersa, senza che alcuno si pre– sentasse a richiederla. Ma, di tratto in tratto, e diciamo pure frequentemente, quella com– postezza perdeva il ritmo voluto ; la regola cessava interrotta dalla passione riaccesa e pure sempre violenta. «Ottocento», pensa la si– gnora Borgese ? Non mi pare: altrimenti i nostri avi sarebbero stati meno giocondi e ai nostri nipoti toccherebbero rinunce non grate. Il suo temperamento era fatto così; e a correggerlo erano mancate le cure e gli esempi di una famiglia normalmente costituita. Quando ebbe un marito, questi non la difese con vigilante a:l;'fetto,ma la condusse ai teatri, nei salotti, nei ritrovi più_ lusingatori, compiacendosi forse del– l'alta ammirazione che ella, da lui non più amata, dovunque suscitava, per la trionfante bellezza sua. Si diede a un uomo che possedeva insieme genti,lezza di animo e di modi; e le fu ferocemente tolto. Dopo, anche per la condizione della esistenza a cui doveva conformarsi, e pei ricordi della giovinezza lieta, si trovò più specialmente in familiarità con quegli scrittori che le parlavano H linguaggio a cui, naturalmente, doveva essere meno inaccessibile. Si può quindi intendere che in lei si riaccen– desse l'amore, e indulgere se le riaccensioni furono anche frequenti e ra– pide. La sua anima, tormentata da lunghi rimpianti e da moltiplicate fatiche, anelava di provare anc6ra illusioni, di sentirsi nuovamente de– siderata. E a quarantasei anni, nelle poche ore di ferrovia tra Firenze e Genova, accolse un nuovo affetto, l'affetto che doveva essere l'ultimo. Perché, in quel periodo, scontava una delle varie leggerezze alle quali, ella così volontariamente saggia, non seppe mai sottrarsi. Il De Gubernatis, direttore della rivista alla quale ella cooperava per la BibliotecaGino Bianco

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