Pègaso - anno II - n. 6 - giugno 1930
766 A. GrnE, Robert . ad altra condizione umana, e subito cade nel ridicolo. Vero è ch!cll'at– tributo negativo, infelice, quello è cli uso più l!),rgo e corrente per gli sposi e per tutti). Dunque Evelina la sposa infelice, nell' Éoole des fem– mes ci raccontava il perché di questa sua infelicità, ci mostrava come il marito, Roberto, che da fidanzato le era parso l'uomo ideale, deli- · cato generoso intelligente,. insomma quel giovane «distinto» che giu– stamente presiede ai sogni delle fanciulle e delle mamme, al fatto, cioè nel matrimonio, le si era poi scoperto mediocre, utilitario, piccino, e anche un po' intrigante, un po' arrivista. Peggio : questa sua mediocrità, questi suoi difetti veri Roberto li rivestiva di dignità, di decoro, di belle frasi, di « sani principii »,:· religione, patria, famiglia. Roberto· insomma era il filisteo della specie peggiore : il filisteo in buona fede. Ad avergli detto (e la moglie _glielo diceva) che certe sue azioni e molte sue parole, erano di ipocrita, Robertp rispondeva in buona fede che non era vero; che anzi quelle erano le azioni e le parole con cui egli, conscio della sua umana miseria e fralezza, cercava di elevarsi, di migliorarsi. Inguaribile filisteo. Attrav_erso il diario di Evelina,, la moglie infelice, avemmo di lui un ritratto indiretto, ma spietato. Con L' éoole des femmes probabilmente Gide non ci dette un bel romanzo (Evelina, la moglie tra– dita nel suo ideale, restava in tutto il libro troppo rigida, astratta e stridente, piuttosto inquisitrice e spietata inquisitrice, del marito, che moglie addolorata) ; ma la figura di Roberto, il borghese di buoni prin– cipii, il filisteo, l'ipocrita, parve a tutti un « carattere>> bene riuscito, ·non indegno della grande galleria francese. E poiché il titolo del ro– manzo invitav:;1,a ciò, e anche in Francia l'uso dei nomi grandi non è interdetto, fu fatto persino il nome di Molière ..... · Che cosa è ora questo Robert che giunge di rinforzo al romanzo del– l'anno scorso? È successo a Gid!clquello clie a molti autori succede: s'è innamorato del suo personaggio. Amore satirico, amore crudele ma non per questo meno tenace. Gide ha finto che Roberto, dopo aver letto il diario postumo della moglie dove si faceva di lui quel ritratto che sapete, mosso da sdegno o da vergogna o piuttosto da « un sonci de vérité, de justice et de remise au point », abbia preso lui carta e penna e si sia senz'altro rivolto all'autore: Monsieur ..·., e avanti per ottanta pagine. Naturalmente la difesa che Roberto fa di sé, non soltanto conferma, nia aggrava il ritratto della moglie. La polemica ormai antica di Gide- con– tro il bor·ghese, il filisteo, il Tartufo, non aveva trovato ancora spunto cosi felice. La verosimiglianza di Roberto appare perfetta. Il tono ch'eglj. assume per difendersi è ragionevole e convinto; 'la caricatura di lui è tutta ritirata, nascosta nell'autoritratto; l'accusa, la satira restano impliciti nell'autodifesa. Diciamo. pure che l'arte di Gide era ben di– sposta a questa prova. L'ambiguità che è uno dei più caratteristici toni gidiani (e uno dei suoi maggiori difetti, oltre che artistici, morali) qui ha buon gioco, giova a tratteggiare il ritratto satirico; la troppa attenzione morale, come di confessore laico, anzi di confessore del dia– volo, che fa moleste molte opere di Gide, regalata qui a Roberto che è infine un mediocre Tartufo, un omino imbottito di pregiudizi e di frasi e verniciato di decoro e di onorabilità, porta questa volta a effetti quasi umoristici. . . · BibliotecaGino Bianco
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