Pègaso - anno II - n. 6 - giugno 1930

LETTERA A tUIGI LODI. Non dimentico mai, caro Lodi, d'avere avuto la fortuna d'incontrare lei al primo principio della mia vita di scrittore; né dimentico la cor– diale fiducia con cui ella accolse nella Nuova Rassegna i miei scritti, e i consigli che mi dette, e l'ospitalità in quelle stanze agli Uffici del Vi– cario dove nel tardo pomeriggio o dopo il teatro si raccoglieva il meglio delle -le.ttere d'allora e, dal vicino Montecitorio, quei pochi del Parla– mento i quali stimavano o mostravano di stimare anche i giornalisti che non scrivevano di politica; e allora, in una parentesi t.r~ il Don Chi– sciotte e il Giorno, anche lei, direttor~ della Nuova Rassegna, poco se ne occupava. Non dico che da parte nostra, vecchi e giovani, la stima di quei parlamentari fosse sempre ricambiata, ma anche negli epigrammi la forma era salva. A desso, leggendo il suo libro Giornalisti, pel quale una sola critica le farei, d'averci dipinto tutti con troppa benev9lenza, quei tempi' mi sono tornati così vivi alla memoria che mi sembra, finché il libro mi sta aperto davanti agli occhi, di ringiovanire. Carducci, d'Annunzio, Martini, Pa– scarella, Yorick, Turco, Vassallo, Vamba, Boutet, Carletta e, da Napoli, Matilde Serao, Scarfoglio, Di Giacomo, Bracco e, da Milano, Giacosa, Praga, Rovetta e, da Bologna, Panzacchi e Guerri.ni; lasciando ultimi Febea e Morello soltanto per dire che non mi so dar pace a vederli, sani e vegeti come sono, chiusi nel silenzio: tutti sono passati allora per quelle stanze e sono adesso affettuosamente ricordati. in queste sue pa– gine. Ad aver tempo scriverei nei margini, accanto ai ricordi e ai giudizi suoi, i giudizi e i ricordi miei. Ma non sono anc6ra arrivato al placido distacco che è il premio della sua età, e non vedrei, a cominciare da me stesso, tutto in roseo come ella vede. Cominciavo allora a collaborar~ alla Tribuna. Seguii Vincenzo Mo– rello quando fondò il Giornale. Tornai con lei quando ella creò il Giorno e vi iniziai una rubrj_ca intitolata « Cose viste». Ma ormai avevo co– minciato a mandare articoli al Corriere della Sera, e pre~to, dopo un anno o due nel nuovo Giornale d'Italia, m'allontanai purtroppo per sem– pre dal giornalismo romano. A Roma i giornali lombardi erano anc6ra, verso il 1895, più stimati che ammirati : giornali di provincia, pensa– vamo, e imprese industriali prima che fogli vivi, e scritti male, si di– ceva anche prima di leggerli. Scarfoglio invece e Morello, per non dir dei minori, ci rappresentavano con lei i giornalisti d'assalto e di critica, scintillanti di brio e di trovate quando erano all'opposizione, svogliati ed opachi appena dovevano difendere un ministro o un ministero; e tutti 47. --:- Pègaso. ibliotecaGino Bianco

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