Pègaso - anno II - n. 6 - giugno 1930
Inverno di malato 731 sore comincia a dli.scendere. Ed ecco, la discesa, pare più lunga del solito, e quel ronzìo elettrico che l'acrolll4)agna più forte e :iinsi– stente; Girolamo guarda il vestito di sposa, [à :iJn fondo al letto, un'amgoscia assurda l'opprime, << bisogna fermarsi>>, si ripete, « bi– so-gna, fermarsi». Ma la discesa 00111tinua,e il ronzìo cresce, sri. trasforma crescendo, diventa una specie di ululato .... A questo punto le :immagini si spezzarono e il ragazzo si destò. La nota oscurità della ,sua stanza empiva i suoi occhi sbarrati, ma quell'ululato del sogno era restato e rpareva ainzi crescere d'in– tensità di momento in momento, e riempire, per così dire, idi sé, ogni più picoo[o ripostiglio di silenzio. Daippr1ma, amcor tutto in– sonnolito, non capì cosa fosse, poi un rumore di passi precipitati giù per la scala di legno del -sanatorio, che ID.On era lontana dalla sua stanza, come di ,gente in fuga, gli fece ad un tratto crupire la verità: « È la sirena del campanile, per gli incendi», rpensò. « Il fuoco è !Ilel sanatorio .... e questo rumore è queillo degli infermieri che scap– pamo ». Accese ÌIIl fretta la luce, la tramquilJlità della propria stanza, in quel momento, con quell'ululato della ,sirena rper l'aria, con quello scalpicciare, giù per la scala, là di fuori, gli parve tremenda. « Il sa– natorio è quasi tutto di legno», pensò, « e brucerà in un istamte .... e c'è un solo ascensore che .può portare un SOilo letto .... e ci sono più di ottanta letti. ... ». Tra questi calcoli guardava la porta, l'ulula,to della sirerna cresoeva sempre più, giù per la, scala continuava il ru– more affrettato~ dei passi. Ad un tratto, benché sapesse benissimo che, attaccato com'era ,per un piede alla earruoola deil suo appa– r,ecchio di trazione, da solo 111On avrebbe mai potuto liberarsi, lo prese una specie di frenesia, cominciò a torcersi e a dibattersi nel letto. La ca,rrucola cigolava, il letto gemeva, dopo u111 poco Girolamo cambiò sistema e diresse tutti i suoi sforzi a smuovere il letto 1D.el[a direzio111 e della po rta; ma il letto non si mosse. « Dovrò restar qui», egli pensò alfi.ne, abbandonamdosi sui cuscini, con ,più ira che spa– ventò, « attaccato rper un piede ... , restare qui in questa tra,ppola ad aspettare la morte .... ». Gli ,pareva che questa morte sarebbe stata l'ultima ingiustizia dopo u111a lu111gaserie di sfortune immeritate. Lmprovvisamente lo prese una rabbia terribille contro questa specie di fata,lità che oolpiva lui e risparuniava gli altri. « Maledizi01D.e », incominciò a ripetere, guardandosi i!Iltorno, bianco in volto, fre– mendo e digriginamdo i denti, con un preciso desiderio di mor– dere, di far del male, di vendicarsi di tutti i suoi patimenti in questo suo estremo momento; «maledizione ... , maledetto il samatorio, ma– ledetta la Pollly, maledetti i medici.. .. ». Gli occhi gli si •posarono sul vassoio della cena, carico di piatti e di ,pietanze fredde ; si pro– tese e lo ,spinse fuori della tavola : ci fu un gran fraioasso di porcel - lame rotte; poi fu la volta del calama,io e degili altri oggetti; 111On si ibliofecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy