Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930

Gente in Aspromonte 563 di pronunzia. Alndreuocio, quello ancora soprarunominato il Pre– tino, che alla fine no111 erano riusciti a mandare agili studi, perché 1 se 111era tornato diicendo c,he si mrungiava e si comandava meglio a casa sua, e i suoi fratelli il Titta e il Peppino, ora 1110n facevruno 1altro che s0orazzare per le terre del ,signor Oamillo MezzaJtesta, e vendere ,qualche oosa di 1I1ascostoper poi andare a spendere nei paesi della Marina. Lo stavruno ad ascoltare senza poter vincere Uill certo imbarazzo. Benedetto diceva oose sermate, e parlava vo- 11entieri dei Santi, dei loro miracoli, in modo che le donniociole che lo sellltivano si battevano il petto devot3Jmenrte. Le bambillle, ooi loro occhi neri e birunchi, lo guardavano fisso, sedute illl terra. Egli chiudeva gli occhi, ,sbattendo in fretta le palpebre. Una sera venne anche la &hiavillla a vederlo, e gli domandò: - Come sta vostro fratello? - Il padre volle tr,oncare subito quel discorso. L'Argirò, Ilo Zuccone, il disprezzato, fu ,toouto in una certa co111 - siderazfone, trovava anche credito. Andava lacero, raccattava do– VUJil!que quello ohe 1poteva, nei suoi viaggi attraverso gli orti della valle, si oootentava di quello che gli dlavano e trovava modo di render ptile ogni cosa,, tant'è vero che a chi 0000,rrevia, un po' dli c31l"ta o una bottiglia vuota o UillOspago o un chiodo, non c'era che da ricorrere a lui che oonservava tutto. Si verune a sapere in breve che anche altri contadini e pastori pensavano di mandare i figli agli studi, se 11' Argirò aveva mutato già rapidamente oondizione 1I1elco1I1cetto delle persone, oome se quel figlio fosse un capitale depositato in una banca. · La madre dli Benedet,t.o era trrunquilla soltanto qurundo il figliolo era fuori. Aveva paura che uscisse di casa, che una donna lo stre– gasse, che gli soffiassero quailche maledetta .pollvere addosso, che egli vedesse le dolllne oome erano fatte, che ci vuol .pooo, nel paese, ad rundare di sera per i campi. Certe ragazze di fronte a loro, ave– vano dormito un pomeriggio d'estate sul dlavrunzale della finestra, che faoeva impressiooe, e poi 1o guardavano ooi loro occhi bovini. L'Argirò si metteva in tasca le lettere, di nasoos,to, e le faceva !leggere. Eoco oome scriveva il figliolo: « Caro padre, Buo111Na,tale a voi e alla famiglia, ai fratelli, a tutti. Ho ricevuto tutto, e le sca:r,pe anéhe, e ill•onero malato. La ber.retta ce l'ho e i ,quaderni anche, e credevo che i piccoli noo li avessi e nemmeno i grandi, ;perché non ho visto nulla nel tavolilllo. E ora ci ho tutto, e non mi mandate 1I11ente più, e fomitevi voi che la sera mangiate p,aillee ulive per me. E io ho anche Il.etre sedie, e la vo!lollltàdi srtndiare, e di wp,pa,gare i vostri desideri. La posruta è o-ià al rrume e il torrollle lo avreste dovuto tenere per voi. I pre– se;i di qui sdno belli. Si fingono monti facendo alture, piocole, di pietre, e ooproodole oon vellutelli. Falllno le strade in :°-ez~ ~l vellutello :faamo il fiume finto che ,sembra vero e va a g1ttars1 m ' ibliotecaGino Bianco

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