Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930

Gente in Aspromonte 557 ogni ritegno: un diluvio di cattive parole· e di espressioni o.scene - usci. dalla sua bocca: - Non vi vergognate, dopo ·avermi ,sedotta e pòrtata in questa casa, dopo avermi compr-omessa agli occhi di tutti, dopo avermi fatto pubblica-mente la vostra ,ma111tenuta, nolll vi vergognate di trattarmi oosi ? Chi sOlnoio ? lnfillle sono la madre dei vostri figlioli, dico dei vostri figli. - A queste parole il Mezza– testa levò il dito e voleva parilare; ma ella, temendo il peggio,_ levò ancora di più la voce. Alla fine, dopo una filastr,ooca di vituperi, ella rioorse all'ultima minaccia: - Ebbellle, -.signor mio, se ,proprio nolll 1I1e volete sapere, io me ne vado. - L'uomo divenne pallido e piagnucoloso, comIDciò a supplica:rlla che non se ne andasse, che altrimenti che oosa avrehbe detto la gente ? Allora la donna divenne più dolce, più mite, gli si -sedette ai piedi e gli domamdò graziosa– mente: - Siete dunque disposto a oompiere il vostro dovere? ~ Egli si riprese, .as•sunse l'aria straniera che aveva usato prima, e prornunziò : __:_ Andreuccio sì, ma gli altri rn-o.Glli altri nolll meritamo iil nOimedei Mezzatesta. - La donna non riusciva a rendersi conto che proprio quell'uomo che passava le giornate solo nella sua stamza, quasi senza volollltà, senza nessun peso nell'amministra– zione della casa, riuscisse a pr,onunziare quelle ,parole. Di scatto usci, e fece sentire nell'altra stanza che rimrnginava fra ile sue robe, come chi v-oglia partire. Per U1I1 attimo fu un silenz,io attento. Erano 'rimasti soli il prete e il MezzaJtesta, si offrirolllo del taibaoco e vi fu un runnu.sare riflessivo, per qu0,Jcbe miinuto. Poi fu il Mezzatesta a riprendere il discor,so. - Ella crede che io sia interamente rim– becillito, e).Ilacrede che io non sappia nulla e non mi accorga di nulla. Io so tutto, e so di chi solllo quei figlioli. Io so che soltamto Allldreuccio è mio. Sono pur sempre UlllMezzatesta, sono uno della mia famiglia malgrado tutto. Posso essere caduto in basso, e certo che sono caduto in basso (il prete fece un gesto come per raccat– tarlo); sì, sono caduto in basso, lo so; ma nolll per questo il mio lllome deve essere buttato nel fango. Io si, ma fil nome dei Mezzate- • sua, no, quello no! - Aveva pronunziate queste parole oon 10,sua calma abituaJe e con la sua prolllunziia incerta. - Io sono debole e nolll posso fare a meno di quena donna; ma il mio nome, quello, quello .... - Parlava con se -stesso. VIII. L'Argirò 1I10nse ne vèdeva riescir bene una. Prima p,rovò a, coltivare ill ,suo pezzo di terra, ma glielo rovinò il -torr~nte. Poi si mise 3rd allevare un paio di maiali e glieli schiantò il morbo. Fece molti mestieri :fino a quando, essendo venuti certi lillilanesi per i lavori delle baracche, dopo il terremoto, riuscì a impiegar-si comè BibliotecaGino Bianco

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