Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930

634 G. BA.NFI, Il dèmone custode questioni così alte· si ri0.uce tutta a una diversità di temperamento: quella ch'è, di solito, tra gli uomini che entrando nell~ vita_ trova_n~ subito o senza, troppo cercare, la casella dove collocarsi e .gh uomm1 che 1a'trovan tardi, e no11sono contenti mai di essa; o non la .trovano, e la vanno cercando continuamente. Gli uomini a posto, e quelli spostati. L'autore dichiara fin dall'inizio benissimo cotesta differenza, che para– gona, per gli spostati, al simbolico. sbaglio del primo bottone: gli altri hanno invece, nel civile consorzio, « la rigogliosa imperturbabilità delle piante ad alto fusto». . Come si vede, la differenza d'indole e di costume assume portata umoristica; e su questa linea si svolge appunto la narraz ione dei casi occorsi all'autore; e colore umoristico, o meglio d 'argu.ta bonomia,' ha il séguito delle sue riflessioni e variazioni pe,r tutto il libro . Ohi non ha conosciuto, negli anni universitari, uno di quei tipi di studenti che passavano da un ateneo all'altro, lì lì per prender la laurea, e non la prendevano mai? Abbastanza forniti di censo, per dirla in linguaggio pressoché aulico, buontemponi e animatori delle _più pazze brigate, essi erano quasi un'istituzione, specie prima della guerra, nelle nostre università. Quando poi stavan per toccare la tren– tina, dopo aver studiato legge, lettere, medicina, o forse nessuna di queste materie, si ritiravano nella casa avita, e si mettevano a colti– vare i paterna rura. Parte del libro del Eanfi mi hà fatto rievocare qual– cuno di questi tipi di comune conoscenza. E non perché egli, dico l'au– tore di queste «memorie», somigli molto a costoro; ma insomma an– ch'egli nella sua gioventù fu alitato dal dèmone della mutevolezza, per così dire, ·culturale, e studiò scienze commerciali, poi medicina, poi musica, poi, naturalmente, fatidico sbaglio del primo bottone, andò a finire giornalista, e direttore di .giornali di provincia. Le pa– gine che rievocano quest'ultimo mestieri:i sono le migliori del libro; vi sono schizzati alcune macchiette e ambienti del giornale di provincia, e della vita provinciale, con arguto sapore. Ma l'umorismo del Banfi non sta tanto, o almeno non solo, nella dipintura piacevole di cotesti am– bienti e _persone, e nel racconto di aneddoti non meno piacevoli che ogni tanto il ricordo o l'estro gli suscitano, quanto in un suo arguto discor– rer riflessivo, dirò alla Jerome, anche se meno scintillante e vivace. In lui c'è una saggezza più bonaria, un più calmo e placido modo umori– stico, che uno stile disteso e largo, senza nervose fratture, rende ade– guatamente. Direi che il Banfi si compiace di costruire i suoi periodi un po' all'antica; non dì vocaboli antiquati e desueti, ché il suo vo– cabolario è abbastanza moderno, mfr di testure e clausole sintattiche che sentono la buona educazione letteraria, formatasi sui classici, e sui classici un po' ritondi, di tradizione, dal Boccaccio al Bandello. Ricordp anzi alcuni suoi Racconti della Bassa, pubblicati'qualche anno fa, dove questo suo largo periodare era usato, con un garbo un po' gri:ive forse, ma non privo d'efficacia rappresentativa, a .figurar scene d1 vita burlesche e tipi originali di campagnoli della pianura iombarda. Lun– g?e _novelle, che si distendevano agiatamente in un calmo fluire di pe– r10d1, come un largo fiume. A questi modi di scrittura il Banfi è ri– masto sostanzia,lmente fedele; e sarebbe facile citar// Fedeltà, ag- BibliotecaGino Bianco

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