Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
278 P. Gadda scrizione, Ulisse tracanrn.ò illl fretta l1Il aJltro bicchiere ; da vero meridionale, credeva già al 1suooo delle S'lle parole. I suoi compagni d'avventure lo ascoltavano, deliziati. Era oome se avessero vissuto quei giorni in una dubitosa caligine, che solo ora dileguasse, alla voce d'Ulisse. Gigante orrood!o era, il bolllario pastore: ci avrebbero messo la mano sul fuoco. L'ulllico, che giudicasse iil racconto d'Ulisse con Ulllcerto spirito critioo, era l'Aedo : il quale, in cuor suo, pensava che avrebbe sa– puto sballarle anche meglio. Ulisse gli pareva un po' timido. - Il Gigam.te ootrò, - prosegui il Re, - e 1'a caverna trepidava ad ogni suo passo, come Ullla capanna di paglia lllella tempesta. I nostri cuori erano calllllleal vento. Il gregge saJlutò il suo pastore con un lUlllgo sotterraneo belato, e parve che il monte doglioso si lamen– tasse. Il Gigante s'accilllgeva a munger le capre, quando s'avvide di llloi, che, r,acoolti in mucchio dove l'ombra era più folta, tremavrumo verga a verga, trattenendlo il respiro. Egli ri,se d'Ullla letizia orrooda, vedendoci, ed allungando Ila mano villosa prese due dei compagni, li sollevò in alto, oome sorci in trappola. llllvano gli ,abbracciai le ginocchia, gli dissi le nostre pooe, la guerra 1Ulllga, le procelle funeste, invam.oinvocai gli Eterni, protet– tori deg!li ospiti, cercando di toccare quel cuore di rupe; egli li sbattè come cuccioli sopra una pietra, rompendogli il fil della schiena. llllaffiatili di latte, llle fece il suo pasto. - Cosi dlicendo Ulisse, col dorso della mano vil1osa, si asciugò Ullla· lacrima. Gli pareva di vederili, i cari compagni perduti: spezzati per terra, oolle cervella schizzate; gli pareva di udire il loro ululato di morte, di cogliere l'ultimo sguardo delle pupillle prodi. Provava Ulllsenso di sdegmo e di odio acre, verso l'imagilllario mostro che li aveva uccisi; se lo fosse trovato davamti, ed anche cento volte più grande di quanto lo aveva descritto, l'avrebbe sfidato a battaglia. Quando ,aveva tracannato buon vino, Ulisse lllon misurava le forze dei suoi nemici. Vedendo le lacrime del Re, un mormorio intenerito corse le tavolate : dioo quelle dove, villlti dal villlo, non dormivano già tutti. Un caporale sospirò nel solllno, e parve Ulllsinghiozzo. - Che uomo ! che cuore ! - ,si dfoevooo l'un l'altro gli UUssidi, al brillare di que111a lacrima. - Verune la llloote, - .riptrese Ulisse, - distese 1suilono1n<l!o l1Il malllto dli vero velluto. Il gigante dormiva, monte nel molllte. Perché 1110n gli sfuggissimo aveva chiuso la bocca dell'antro con un maci– gno rotondo; tutte le nostre forze non avrebbero saputo smuove:rllo d'un ciglio. ,Cosi prigiooieri, mentre egli am.sava e fischiava orri– bi1moote nel sonno, ci raccogliemmo a meditare, invocallldo dal cielo uno spiraglio di salvezza. L'aria dell'amtro era greve dì lezzo BibliotecaGino Bianco
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