Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
Ulisse e i Ciclopi 277 ma io, che essendo il Re, devo badare a tutto, e mi tengo responsa– bile delle vite dei .miei soldaJti, aguzzavo lo -.sguardo tra le fl"ondle, se mai vi apparisse qualche volto umano. Il mio orecchio in ag– guato vagliava ogni fremito' de!Ua.foresta : 1110n ci fosse, tra 1o squit– tir de,gli uccelli e 1o sto,rmire dei rami, qua.Iche sibilo d'i. freccia nemica. Infine la selva dimidò, e ci troviammo sopra una spiia1ggiadi sabbia fina, lambita da piooolissime 01I1de.· Il mare scintilJlava tra111- quill1o irn un pallido golfo; ai piedi d'uin promontorio rupestre si indovinava ,u111 g.r,mno d'ombra, che ci parve, ed era infatti, l'im– boocatura dli una oaverna. Per non lasciare nella sabbia molle traocia del 111ostro pasi-ia-ggio camminavamo diguazzando fi1110 al ginocchio. U.sciviano dalla caverna mugghii e voci strane, come dalle spe– lonche percosse dal mare, la notte. I compagni ristettero sul1a so– gliia. Io, con saldo cuore, 1 mi ruvanz;ai verso 1a booca dell'amtro. - Tacque, e, lasciamdo i trepidanti uditori nell'amsia, (almeno C'Osi credeva), ,si feoe riempire il :bicchiere dall'araildo. Tracanrnatolo e forbitosi l'ispida bocca, riprese: - Feci qualche passo 111ella ca– verna, branicicando come un ragazz;o bendato. Appena ai miei occhi· diradò la cupa penombra, intravidi Ulll mareggiare di dorsi lanosi. Questo gregge, che ora rosolato fumiga sulle nostre tavole, mug- · ghiava dirnanzi a me nella fo1I1daspe10111ca. Ch:i,amafi ì comp,agni, li rincuorai, ed entrammo tutti insieme. A p-0co a poco, nell'umida oscurità, ravvisammo lungo le pareti di roccia graIDdi orci -caprini, colmi di vino dlolcissimo, e bionde aru- fore, bianche di latte fino wll' orlo. Più ilil fondo, dlove la volta della caverna •si abbassava sopra una coltre di frasche pagliose, vedemmo delle pile di caci neri, simili a formelle di parmigiano. In111almte preghiere di ringraziamem.to agili Eterni, che ci avevano guidato fino alla miraco1osa cavern:a, sacrificammo lo.ro uin biaaico ariete. Poi, - avevamo una gran fame, - ci buttammo allegro,.. mente all'assalto degli orci e dei caci. Merendavamo gagliardamente, ana ca-mpagnola, e per tutto dire, qualcuno aveva già alzato il gomito un po' troppo, quando l'ombra della caverna si- fece più fo11ta, la ter,ra, come percossa, tremò, e vedemmo un orrendo gigante :av::>.rrrnarsi dallla soglia. Miseri noi ! Fossimo, e tosto, fuggiti al chiaro sole! . 801110 i Ciclopi, come apprendemmo a inostre spese, i selv,aggi abitatori di quelia contrada; alti come colline, solleverebbero uin JI10111torne 00111 .un dito; la loro v,oce 1 è oome tuono a p.rimaveria; le barbe, simili ad ina,cces8e boscaglie ; z;otici quamto crudeli, sono vor,aciss:imi ,di carne umana. Uin solo oochio, cupo e rotoindo, splende sotto le dure fr,onti. All'-apparire del .gig:arnte ci s,e111t~mmo gelare il sangiue nelle vene. - Per riaversi dahlo ,spavent,o, che lo aveva pil.'esoa questa <le- BibliotecaGino Bianco
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