Pègaso - anno II - n. 1 - gennaio 1930
118 D. CINELLl, Calafùria Cinelli della sua eroina - non le faceva perdere quella umiltà scon– trosa sino all'orgoglio, che pareva difendere un naturale selvatico e geloso, come un biancospino in fiore, irto di pruni». Ma converrà dire con franchezza a Cinelli che se egli vorrà far rifulgere le sue doti, dovrà, prima di tutto, imporsi la conoscenza dei limiti e dei caratteri della sua arte. Accennai già che egli sembra meglio riuscire quando descrive passioni elementari, le quali, più che toccare il fondo della responsabilità umana, sembrano avvenimenti di natura. È il mondo della Trappola, ricca di passioni tutte primitive o delle meno complicate : la gelosia furente di Pulce, cacciatore, che sembra nata da quel paesaggio violento di burroni e di creste, il desi– derio del giovine marchese che è quasi « un cavallo di sangue», il lan– guore della bella tabaccaia, che è come « un frutto maturo». In questo ambiente di sanità, lontano dalle complicate analisi d'anime, e nel quale se il male c'è, avviene come per una specie di fatale innocenza, pro– ,dotto da forze di natura più che dagli uomini, mi pare che sia il clima adatto a}le qualità di Cinelli, narratore assai più che psicologo. Ma le prove di questo fecondo e interessante scrittore continuano. Pègaso ini– zia in questo numero una sua nuova pubblicazione. BONAVENTURA TECCHI. UMBERTO ZERBINATI, nno al Cielo. Stampa privata di 120 esemplari, alcuni dei quali in vendita presso la Libreria Mondadori, Milano, a L. 25. Sono parecchi anni che la giovane poesia italiana si rivolge nuo– vamente alla metrica tradizionale. Ma quell'illustre strumento nella maggior parte. dei casi lo vediamo finora piuttosto pizzicato e tentato 1 che imbracciato riso~ntamente. Questo Inno al Cielo segna un passo nuovo e sorprendente per quella strada; non già per l'uso dei metri vecchi, ma per vederli usati con rigore e purezza così notabili, dentro uno schema classico di canzone, per dar voce a una poesia cosi appas– sionatamente moderna. È facile predire che questo centinaio di versi è destinato a oltrepassare la cerchia ristretta in cui il nome dello Zer– binati era ,fino ad oggi conosciuto e stimato. Osservando come egli con qualche eco e richiamo antico p'are abbia voluto, nel cimento d'una ripresa così difficile, confortarsi dai maestri, e insieme propiziarseli, si è indotti ancora una volta a riflettere su quella singolarità della nostra poesia _chesta tra i caratteri più pro– fondi del genio italiano. Dico quella noncuranza rispetto ai termini e ai suoni, per la quale i poeti tolgono in presto gli uni dagli altri le parole, gl'incontri e perfin<J gli accordi, senza curarsi affatto d'essere personali in questo campo. È una particolarità che se da un lato ha fatto dell'Italia il paradiso della letteratura accademica, dall'altro dona alle nostre opere massime il carattere che più le distingue da tutte le altre moderne, d'una originalità per cosi dire indipendente dalla sostanza verbale, situata quasi negl'intervalli e nei vani di que– sta, e ad essa forse addirittura estrinseca; entro certi limiti, s'intendé. BibliotecaGino Bianco
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