Pègaso - anno II - n. 1 - gennaio 1930
Cinquemila lire 77 fu tutto illluminato dai denti biamchissimi e minuti di animale sel– vatico. Lo guardò oosì un poco, poi riprese il lavoro; e Flelice torlllò indietro i!lld1spettito di quella nolllcuranza. Cominciò tra !loro un gioco di attese e di furbizie -che durò set– timane e mesi. La dionna nolll }o .scansava, ma sembrava che lo preindesse in ridere; Felioe si accaniva; e, per ,quainto non s·ucce– desse nulla, intuivano ambedue che lllon sa-rebbe più potuto du– rare un pezzo così. Era il gioco del gatto e del topo, ,seinnonché il topo sentiva di esserlo lui, Felice. Una notte che aveva comandato Tito co[ barroccio a far qualche consegna lontano, Felice, dalla staJla, salì m casa !lor-o, e, per quanto lei si ,schermisse, l'aveva stancata. Tito era contadino nell'anima, cont-adino d'a mille amni, da sem– pre, dall'origi!Ile. Quando s'era intestato di sposare la Fosca, i fratelli gli ·avevam detto subito che in casa non c'era posto per Ulll'altra donna, e meno che mai per una ,come quellla. La Fosca era allora una ragazzuccia angolosa e stenta che andava dietro al padre, operai-o avventizio, di qua e di là, facendo anche lei qualche faccenda, quel c,he capitava. Come Tito se 1I1efosse incapriocito, non era d'a credersi: la Fosca veniva da una claisse ohe 1oro, f.a– :r;nig-Iiadi mezmdri serii e ricchi, di ,stare i!Il un podere grande e buolllo tenevamo lllello stesso -dispregio che prova un possidente per l'avventuriero che vive d'espedienti. Poi, allora, era brutta, ve– ramente brutta, sino a esser ripugnante ; nolll dava davvero a oo– noscere che da queil seccherello nei cenci -sudici, sarebbe :fiorita Ulll giòrno quella piena, aspra, gi, oventù. D i buono nolll aveva che la v,oglia di lavorare, ma lllon era ques.ta ch,e faceva gola a Tito. Fra il podere e la donna, Tito sceilse la donna, e ,si era dovuto spartire .dai fratelli. Era -andato per opera alla giornata, ma ci soffriva. A stare in branca con altri dìeci o qui!Ildici, col guar,dia addo,sso, come se, senza quella sorveglianza, avrebbe r-ubato la giornata, non c'era soddisfazione; pareva d'essere ai lavori forzati. Aveva la lllostalgia del podere : di quel ri0orrere di opere e di frutti che dan1I10 un senso neoessa,rio a ogni fatica. Ogni tanto passava dal suo podere di prima. Se era tempo della s-ementa, per esempio, gli pareva sempre che i fratelli fossero in ritardo e s'inquietava. Aveva cercato tanto un pic0olo podere, o un posto di logaiolo; ma da quelle parti i 'poderi solll graindi ; molta t,erra e poche case. E quando Felice, che no!Il sapeva nemmen lui perché, si decise di provare a tenerlo all' Acquaviva, Tito si mi,se al lavoro oon u1I1arisoluzione, una tenacia da mulo. , A avere un padrone c,ome Felice c'è il va1I1taggi-odi nolll essere frastornato da molti ordini; si può dire che Tito, più. o meno,. fa– cesse quel che gli pareva. D'altra parte però gli toccavano a111che i BibfiotecaGino Bianco
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