Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929
504 E. M. REMA.RQUE, lm W esten nichts neues guerra il ,fiore della gratitudine. I popoli vinti non hanno di che essere grati, e i loro cimiteri, i loro calvari, i loro libri sono solamente tristi. Anche questo è il libro di un popolo che fu vinto: privilegio lette– rario dei popoli vinti sembrano essere in verità i grandi libri di guerm. E anche naturale. Nei vincitori l'inno della vittoria copre ogni soffe– renza patita col suo clamore inebbriante; la, vittoria è per sé stessa un pareggiamento fra la gravità dei sacrifici e lo scopo per il quale furono compiuti Solo per i popoli vinti la guerra ,è perfetta trag,edia; i suoi dolori hanno come compenso la catastrofe, le sue sventure non parto– riscono che sventure, l'orrore ,è senza balsami, le ragioni storiche per le quali fu combattuto sono ruderi di rocche sbrecciate; resta il fatto . nudo del dramma nel quale si spasimò e si sanguinò, gettandovi forze e vite per nulla. La contemplazione di questo dramma è dunque più ango– sciosa di quello che possa essere nei vincitori; il dolore deH'anima non ha avuto un giorno di festa nel quale fosse rotta la sua alleanza col dolore della carne. La guerra sfortunata di Crimea diede alla lette– ratura russa i Racconti di Sebastopoli e forse l'anima di tutto il futuro Tolstoi; la guerra del 1870 non diede alla Germania alcunché di notevole, e alla, Francia suscitò invece tutta una letteratura, dalla lucida Boitle de suif alla Débacle; il più avventurato, finora, dei libri dell'ultima guerra, Le feu di Barbusse, fu un libro del 1917, quando la Francia passava la sua ora nera e paventava soccombere; non sarebbe stato più quello nel 1918. La nostra stessa letteratura di guerra, nella quale sono numerosi i libri che io pregio molto, deve certamente le sue pagine più potenti alla sventura di Caporetto. Remarque dà al suo libro un significato psicologico generale. Esso deve tentare di ragguagliare, egli dice, « intorno a 1ma generazione che dalla guerra fu distrutta, anche se essa poté sfuggire ·alle sue gra– nate. » Cotesta generazione sarebbe quella degli uomini che stettero al fronte, dei lupi di trincea, per i quali le estreme zone di combattimento erano divenute la vita; tra essi egli ha scelto il suo protagonista in un giovane ventenne estremamente sensitivo, intelligente, capace di cogliere i riflessi deHa realtà sul proprio spirito. L'autore vorrebbe èhe si vedesse. in lui un comune soldato, uno dei milioni di soldati, quell' « uno per tutti», che sempre vagheggiano i romanzieri della psicologia collettiva; ma evidentemente questo sarebbe troppo poco, e il protagonista ha il suo valore di eccezione nella stessa acutezza della sua sensibilità. E un buon soldato; potremmo chiamarlo un soldato quasi eroico : non per voca– zione, ma, nemmeno esclusivamente per coercizione: ché molto possono su lui l'abitudine del pericolo, l'adattamento al clima esiziale delle zone aride dove l'artiglieria semina l'eccidio, l'espatriamento dell'anima an– cora tenera, da ogni consuetudine di vita riposata e tranquilla, in cui non sieno il dramma, il dolore e l'imminenza della morte. Egli è pregno del– l'orrore della guerra fino alle più intime viscere, ma non si può dire che abbia paura: se essa fu un suo primo sentimento, è un sentimento ormai superato; quello che lo domina è l' istinto e il dovere del comba,ttente della guerra moderna: l'istinto e il dovere di conservarsi, di non dare alla morte troppo facile giuoco. Essa rintraccia l'uomo per ogni palmo di terra, radendo il suolo e fulminando a mezz'aria, avvelenando l'aria BibliotecaGino Bianco
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