Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929

498 F. CHIESA, Racconti del mio orto sentir raccontare che l'atto stesso di prendere degli appunti mi sarebbe parso uno sgarbo né più né meno che quello. di tirar fuori l'orologio quando un amico ti mette a parte di qualche suo piacere o dolor~. E finiti i racconti dell'orto, m'ero talmente fatto a quella compagma che ho sentito il bisogno di ritirar fuori Tempo di marzo per la gran curiosità di sentire se l'accento era da allora già quello, e anche per sapere se un libro che m'era tanto piaciuto la prima volta resistesse a una ve– rifica di quattr'anni dopo. Più bello, più vivo, più cordiale e più sim– patico che mai! E due. E finito Tempo di marzo, prendo il cappello e vado a procurarmi Villadorna, il romanzo che l'altr'anno vinse il premio Mou,ladori, nuovo per le mie scene. ,Solido, chiaro, respirato a pieni polmoni, amaramente vero, sconsolatamente riposato: da mettere certo in linea coi meglio venuti alla luce dopo i romanzi di Verga e Fogazzaro. E tre, in due giorni e mezzo; quand'ecco tornarmi a mente che in qualche fondo di scaffale dovevan esserci, nelle « Spighe» di Treves, i Racconti piterili dello stesso, ancora intonsi. Anche qui, otto su sedici, bellissimi : che fanno quattro : quattro libri dello, stesso autore letti uno dopo l'altro senza ombra di stanchezza, - e senza che mi fosse riuscito di prendere una sola riga d'appunti per quella benedetta recensione di Pègaso, che oramai vedevo col binocolo rovesciato .... Ho raccontato fin qui la storiella di Baldini che legge Chiesa. Ora il lettore vuole una morale, un giudizio conclusivo. Ma un primo parere non f' già incluso in queste cifre: giorni 3, volumi 4, pagine comples– sive 1176 ? Queste cifre vogliono dire che c'è in Italia uno scrittore vi- , vePte capace di tenere impegnato un lettore, Dio mi perdoni, non dei' più contentabili, per tre giorni filati. E questo non con una trama ùi racconto continuato o per la semplice curiosità di vedere come va a finire, ma per 11modo stesso di raccontare, lucido, chiaro, attento, riposato, per il tono stesso di compagnia saputo creare da uno scrittore pieno di since– rità e d'indulgenza,, di cordialità e di franchezza, senza inutili esagera– zioni e complicazioni. La pagina di Chiesa potrà essere imbroccata più o meno felicemente, ma non balla mai sotto gli occhi. Il suo verismo non è mai trito e nessuno in coscienza può dire d'accorgersi quand'è che una cosa realmente accaduta cominci a colorirsi per lui di finzione, tanto egli porta nell'invenzione la misura e la concretezza della realtà. Se qualcuno uscisse a dirci che le situazioni e le psicologie di VilladorrJ,a e le storie dell'orto sono state inventate di sana pianta, non è improbabile che ci re– steremmo male, come d'uno scherzo troppo ben riuscito; mentre ci sono tanti scrittori che possono raccontarci cose accadutissime e sofferte in primissiJ'}la persona senza che noi riusciamo a sormontare la primitiva diffidenza. Equilibratissimo nel suo fondo, non è però di quelli, uggio– sissimi, che a furia di saggezza e di filosofia s'abituano a prendere tutte le scòppole della realtà come pretesti per ricamarci sopra degli aforismi, e che finiscono poi con l'avere la spiegazione ancora più pronta del colpo (il regno della noia!). Chiesa è un saggio pieno di reazioni e di scatti, una pasta, sì, d'oro, ma con le punte d'un caratteraccio, un savio, se Dio vuole, passibile di tutti i nostri spropositi e superstizioni. Un savio poi che si libera dei fastidi con una spallata secca e senza residui di livore e di odio. La sua malizia resta così simpatica e candida perché BibliotecaGino Bianco

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