Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929

496 D. TERRA, Joni per compiersi. Come poi vadano a finire queste difficili cose non lo posso dire, perché la decenza mi vieta di citare 1 il luogo e il modo d~l pri~o am– plesso di Jone e di Ramik. Ma il lettore di buona volo~ta capirà _che qui un' intenzione ci deve essere, e che il « deus e~ machma » del hb~o dovrebbe essere l'ironia: intenzione non malvagia. Senonché proprio qui cade un altro dei difetti del libro; difetto, direi, di costituzione. L'ironia cercata, desiderata, qualche volta imbastita, non riesce ad avere un gran gioco, e cade in secondo piano. Da un primo spunto che, anche se non nuovo (il racconto fatto da un diavolo), poteva diventare interessante, da qualche accenno pel quale s'intravede come qualche giusta ambizione al 'rerra sia balenata (si pensi, per esempio, a quanti sviluppi di casetti, equivoci e ironie sarebbero potuti derivare dalla trovata che i demoni degli uomini non possono entrar,e nelle donne e che i demoni di queste, se pure esse ne hanno bisogno, sono di tutt'altra natura e non possono «comunicare» con quelli dei maschi), per una specie di pigrizia mentale o inventiva del– l'autore, non se ne ricava nulla o quasi nulla di buono._ Qualche ra– pido scorcio, con cui la donna è vista, qualche balenante osservazione, la quale, del resto, mi sembra provenga da interposta lettura più che da fuoco diretto; ed è tutto. Ma il fatto è che, perduta di vista la strada naturale del libro la quale avrebbe dovuto essere illuminata da una luce tutta intellettualistica, fatta d'acuti riverberi, filtranti attra– verso il cervello sottile di un diavolo, l'interesse del racconto va a pog– giare proprio sulle curiosità e le arditezze erotiche, le quali, come si sa, sono sempre le stesse da che mondo è mondo. Ma anche qui una via cli scampo avrebbe potuto esserci; e ne sarebbe potuto venir fuori, che so io, un manuale cli alta lussuria, se questi casi e questi incontri fossero stati descritti con appassionata evidenza, con aderente anche se lubrica verità; oppure con quel colore vitreo, serpentino, che adesso va di moda, col quale certe cose scabrose prendono quasi l'aspetto di esperimenti da gabinetto scientifico, eppure hanno una loro fredda, ambigua attrattiva. Ma nulla anche di questo: le arditezze erotiche sono elencate più che descritte, o vi si accenna con una specie di satanica fretta, stavo per dire .... pudore. E ciò non toglie che il libro risulti tutt'altro che pulito e insieme vago, cioè incapace di arrivare a quella prima forma dell'arte, che è la sensualità. Né voglio parlare di certe ingenuità psicologiche, sorprendenti dav– vero nel cervello di un « dottor sottil(:)» e in mezzo a tante sprezzanti pretese snobistiche (con che tono, per ·esempio, sono fatte scoperte come queste: che « la varietà dell'amore non è nella primordiale e meschina variazione meccanicofisiologica, ma nelle differenziazioni psichiche, im– mense come un oceano ecc.»); né di certo dannunzianesimo di quarta mano (altro che nomi esotici e autori non ancora conosciuti in Italia!), in cui si va a finire, quando gli amori di Ramik e di J one prendono a scenario le illustri rovine di Roma. No, anche dell'estetismo, del deca– dentismo di D'Annunzio, bisognerebbe parlare con altro rispetto. Ma voglio dire come quella specie di pigrizia mentale e artistica, a cui prima ho accennato, finisca per intossicare e infrollire la stessa materia verbale, la quale è, si voglia o non si voglia, la base di tutto, BibliotecaGino Bianco

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