Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929
4-92 O. DE Lou,rn, Saggi sulla forma poetica., eco. o, per preparare il gusto al primo verso delle Ricordanze, citar l'altro, del sonetto a Sennuccio « Le stelle vaghe e lor viaggio torto», magari per dire che l'uso e il senso di vaghe è del tutto diverso ? Allora! Si fanno questi raffronti, o non si fanno ,? Ma l'aura petrarchesca non si coglie così nel Leopardi. Essa si trova dove meno si sospetta, anche se uno studioso contemporaneo, per soste– nere la fondatezza del petrarchismo delle prime canzoni (e c'è, sì, ma piatto e, direi, non ancora leopai;diano), scopre alcuni profetici giudizi del Leopardi sulla poesia. del Petrarca che sono nello Zibaldone, e con– 'clude che ha ragione lui ad aver visto quella somiglianza, quella con– cordanza di ispirazione. Mentre par superfluo persino osservare che Leopardi giovane aveva si, prodigiosamente, inteso la bellezza del Pe– trarca, ma non vi si era, neppur da lontano, accostato come poeta; e vi si accosterà poi, e canterà più tardi, in quella quasi sua poesia stil– novistica delle ultime canzoni amorose; e proprio in Amore e Morte, nella strofa di congedo languida, commossa, elegiaca, sentirà Petrarca, quel suo pathos, e quell'untuosità, come lui dice, d'olio soavissimo: anche se, a lettura finita, non è dato a nessuno di scoprirvi due sole parole petrarchesche. (E va ora e vedi a che servono le parole, se non si sa guardare oltre la buccia!) L'aura petrarchesca insomma va colta di volo nelle strofe, non si rapprende nelle parole; e questi raffronti sono un tantino oziosi. A ogni modo non guasterebbero. Il lettore si siede come a una tavola imbandita, e giudica di quel che è imbandito, e, un poco, dell'imbanditore. M'.a (qui è il punto) De Lollis a un tratto esce fuori cÒn un'affermazione così: « il poeta che deriva un'espressione da un altro non dà così la forma di quell'altro a una sua propria idea o senti– mento; ma in quel momento pensa o sente come quell'altro e perciò si appropria le sue parole>> : che è per tre quarti almeno falsa. Dante, ad esempio, che scrive« Come di neve in alpe senza vento», pur rifacendo un verso del Cavalcanti, « E bianca neve scender senza vento», lo rifà a suo modo, con quelle due pause che graduano l'endecasillabo e gli danno tre volte un respiro nuovo, e si lascia addietro le mille miglia Caval– canti. Ma per non parere d'avere a posta scelto un artista prepotente, sebbene poi la novità lirica di Guido sia ben grande, la prima voce grande della poesia italiana, prenderò Poliziano. A quanti Poliziano non ha tolto parole, versi, immagini ? .___Ai greci, ai latini, ai poeti del dolce stile, a Dante, a Petrarca, anche a Boccaccio. Ora, il primo verso della stanza LX è tutto di Dante, '«Lai notte che le cose ci nasconde», e di Dante del Paradiso. Nonostante questo, chi non vede che la differente collocazione, e quell' « ombrata >>del verso seguente, e la ripercussione di accenti al quarto ne facciano tutt'altra cosa, con già un'eco di quel canto stanco che riempie la strofa intera ? In Dante, invece, il verso è al terzo posto, e non contiene altro che una determinazione temporale, ed è un grado dei _tanti per cui si sale all'ultimo e divino ché li domina tutti « Fiso guardando pur che l'alba nasca>>. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Tornando al Leopardi dirò che il suo verso non ha nep– pur l'ombra della lineatura e dell'unità propria sempre del Petrarca; e che un verso solo del Petrarca non si ritrova nei Canti dico che non ritrova il suo clima. A meno che, come ha fatto il D~ Lollis, certo BibliotecaGino Bianco
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