Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929

490 O. DE LoLLIS, Saggi sitlla forma poetica,, ecc. gnanti ? Dice una volta che nella lingua del Manzoni « trovò il suo perfetto assetto tutto quanto possa esservi di materia men classica» : e va bene: e non sottoporrò, per esempio, la Risurrezione e gli altri inni sacri a quell'esame schifiltoso a cui il 'l'ommaseo li sottopose. Manzoni dunque toccò quell'equilibrio, che al Berchet non riuscì, certo per qual– che cosa che era al di là delle parole, e che diremo estro, necessità alta di esprimersi a quel modo, dono di puro poeta, insomma. Si dice cosi, o, piuttosto, si sottintende, del Manzoni, e non si dimostra; e del Berchet si dice esattamente il contrario, e non si dimostra. Non mancava già al De Lollis la capacità di farlo : ma s'ha l'impressione che quel quid divino che è all'origine della poesia non sia abbastanza calcolato nelle sue pagine. E come sarebbe stato possibile altrimenti a lui, che pure aveva un'attenzione volta ai più minuti particolari, dar per pacifiche quelle sue prove unicamente formate di elenchi e di schede : qui le parole arcaiche o nobili o dotte, lì le voci plebee o familiari o anguste, estratte dal corpo vivo della poesia: e non sentire che in quel corpo vivono, a loro modo, e, perché vivono, quella poesia piacque a un De Sanctis, a un Carducci, e continua a piacere a Croce, e piace e piacerà ancora a tanti ? Il muovere, in fatto di critica, da un esame linguistico e tecnico, fa obbligo d'una minutezza di ragioni, sicché se fu minuto l'impieg~ delle prove, sia minuta ugualmente la giustificazione. De Lol– lis, sempre per Berchet, evita l'analisi delle Fantasie. Perché? Una fuga proprio alla resa dei conti ? O è sottinteso che, anche qui, c"è assenza, d'arte, e sprezzante immediatezza; cb.e, anche qui, il nuovo cozza vio– lentemente con l'antico ? Andava dimostrato. Tanto più per cosa sì alta nella coscienza di tanti, dove, per giunta, non già la sùbita com– mozione del poeta, ma parla proprio una meditata malinconia di esule; De Lollis passa per buona l'enfasi dell' Aleardi, la sua diarrea poetica, e non avverte il pathos che è in alcune strofe delle Fantasie, e l'incan– tamento stupefatto che è in certe altre, e sopra tutto la verginità, si la verginità, di certe espressioni. Ecco, l'accostamento del Carducci all' Aleardi doveva metterlo in sospetto davanti a certe meccaniche strofe delle Odi Barbare, servirgli coine riprova della caducità di tanta parte di esse, e fargli, per contrasto almeno, gustare un poco più la poesia delle Rime nuove, delle quali appena in questo libro si tocca. Perché anche questo è- strano nei saggi del De Lollis. ,Si _studia la poesia del Berchet, e si dimenticano le Fantasie, che sono un potenziam~mto del– l'ingegno poetico del Berchet; si discorre del Prati, e non si nomina l'Incantesimo, la più labile, la più bella cosa del Prati, vecchio ,final– mente e quieto e sereno; si cerca dentro e dintorno, infaticabilmente, la lingua e lo stile del Carducci, e un cenno alle Rime nitove è fatto per un puro caso, sbadatamente, e dimenticato in fondo in fondo all'ultima pagina. Non diremo, cosi, nulla neppure della Faida di comune? Il De Lollis ~ che è andato braccando nell'opera del Carducci tutti gli in– croci più o men chiari di nuovo e d'antico, per contentarsi alla fine, nelle Odi Barbare, a veder risolversi quel dissidio da una parte sola, in un senso cioè tutto classico e tradizionale, sebbene, s'intende, moderno e pieno, rinuncia davanti a questa Faida a cogliere il solo fiore forse di quell'accordo ? BibliotecaGino Bianco I.

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