Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929
484 'l'. GALLARA.'l'I SOU'l"l'T, Vita di Dante considerare come una pura utopia, come un vano suo fantasticare, tutto quello che, per profonda meditazione sulla storia del mondo e sulle sacre carte, aveva sin allora riconosciuto come ordinamento della Provvidenza; come indefettibile volontà di Dio ? Le difficoltà che s'erano opposte al– l'impresa d'Arrigo erano state gravi; l'incoronazione a Roma non era avvenuta senza contrasti, e l'assedio posto a Firenze non era va]so •1 vincere la resistenza di questa città: eppure l'ultimo sforzo dell'impe– ratore contro il re Roberto dava ancora fiducia di trionfo, sì che anche nel guelfo Villani leggiamo : « Di certo si credea per li savi, che se ìa sua morte non fosse stata sì prossimana, un signore di tanto valore e di sì grandi imprese com'era egli, avrebbe vinto il Regno e toltolo al. r,e Ruberto, ... e appresso, s'avesse vinto il Regno come s'avvisava, assai gli era 1eggiere di vincere tutta Italia e delle altre provincie assai. » Il rimprovero di 'avarizia' e di 'viltate' che è rivolto a Federico di Sicilia nel Paradiso mostra che Dante stesso credeva possibile ancora, dopo la morte d'Arrigo, il trionfo delle armi imperiali, se non fosse mancato l'animo di chi avrebbe dovuto assumere e condurre a termine l'impresa. E ad ogni modo, poteva la Provvidenza lasciare cl.iricondurre, prima o poi, l'umanità traviata sulla via della salute? In fondo, che Dante conservasse ancora la fiducia nella giustizia e nella provvi– denza divina è costretto ad ammetterlo qua e là anche il Gallarati Scotti, tanta è la forza del vero quando si legge la Divina Commedia. E allora si può chiedere: che è mai quella « missione di veggente ca.– pace d'indicare una via», quella «nuova rivelazione», di 1 cui il Galla– rati .Scotti ci torna a parlare, se non quello stesso << fanatismo cieco» e quella stessa utopia fondata non sulla logica ma sul miracolo, il cui fallimento avrebbe condotto il poeta per sì diversa strada ? E l'Impero che ha nel Paradiso così alta celebrazione, non è quello stesso miraggio che al contatto della realtà si sarebbe dileguato come una delle « fan– tastiche costruzioni fatte discendere artificiosamente dai cieli in terra» ? E come mai quello che nelle epistole politiche è il tono del «fanatico» e il « cattivo gusto dello stile retorico» diventa ora « voce profetica» e « accento d'ispirato» nell'epistola ai Cardinali italiani'? Nella.quale non si pensa alla missione della Chiesa soltanto, ma si piange Roma « utroque lumine destituta »; e come si ricorda il sangue di Pietro e Paolo che la fecero sede della cristianità, si proclama pure che ad essa, « post tot triumphorum pompas, et verbo et opere Christus orbis co,nfirmavit imperium ». Ancora: se il suo ideale di Chiesa e Impero si fosse veramente infranto, per la morte d'Arrigo prima e per l'elezione del Caorsino poi, avrebbe Dante persistito nel profetare il soccorso divino con quella sicurezza con cui l'annunzia prossimo Beatrice nel Paradiso terrestre e San Pietro dopo la famosa invettiva contro i suoi degenerati successori? E se quelle due delusioni avessero davvero ri– volto tutto il pensiero e tutto il cuore del poeta alle cose di lassù, perché avrebbe rappresentato le anime dell'altro mondo, e persino i santi del cieJ.o, così preoccupati delle cose della terra e, mi sia lecito dire cosi fanatici delle utopie da lui sognate prima deUe supposte disillusioni ? Non si nega quel ripiegamento in Dio di cui parla il Gallarati Scotti né il ritorno a Beatrice, che già in vita fu per il poeta guida 'ad ama; BibliotecaGino Bianco
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