Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

L' Epistolario di un poetli 283- IV. Noi moderni, certo, dopo l'avvento del romamticismo aibbiamo– del poeta un' idea più alta. Da quandlo avocò a sé la d_i,gnità e la s·amtità di u:p.sacerdozio laico, il poeta ci ha dato il diritto di esigere da lui la veracità, l'intrepidità, la coerenza tra il sentimento e la p,arola, tra l'arte e il pensiero. Ma molte sO'llole mansioni nella casa. delle Muse come in quella del Signore, e il sacerdote di Apollo ha molte umane e scusabili debolezze. Senolllché, p~sando egli così altamente del suo ufficio e della sua «missione», si cooduce con molta ripugnanza a confessarle; preferisce anzi dissimularle e dare- 1alle sue passioncelle, alle ambizioncelle, alle tramsaziOIIli utilitarie che gli rend0010 più .fadle la vita, giustificazioni altamente idealiste. · Cosi avviene spesso che noi cerchiamo 1I1el poeta l'uomo e troviamo il commediamte; troviamo l'istrione intento a comporsi il volto esta– tico o solenne del personaggio fittizio di cui si è assunto la parte~ Al tempo del ,Monti i poeti erano più modesti, più terra terra e, diciamo risolutamente la parola, anche più cinici; ma il cillli-smo può ooche essere l'ultima delle nostre vi:vtù, quando tutte le altre ci hanlllo abbamdonato. Essi appartenevano alla famiglia dei Principi e dei Signori ; eramo quindi protetti e i111sieme vigilati. Pensare e– scrivere come l'estro portava non era licenza che potessero conce– dersi, massime illl tempi torbidi e tempestosi. L'abate Sieyès, a chi gli chiedeva che cosa avesse fatto duramte il Terrore è fama ri– spondesse : Ho vissuto. Anch'io debbo vivere, - pensava il Monti, - e perché mai gli uomini rendo1110 così difficile la vita ai poeti e agli artisti? E qui mi accade di cogliere nell'epistolario montiano UIIl aned– doto delizioso. Nel giugno del 1805 il M001ti, allora poeta ufficiale· del Regino italico e Assessore co111sulentedel Ministero dell'Interno, . dové recarsi da Milamo a Bologna e fece il viaggio, - insieme al diplomatico bolognese Maresoolchi, suo caldo fautore ed amico, - nella carrozza, nientedimeno, di Sua Altezza Maurizio di Talleyrand– Pèrigord. Arrivato a Bologna, - così ra,c,conta il poeta in U[l_a let– tera alla signora di Stael in data del 14 giugno, - egli aveva pran– zato coi suoi due compagni di viaggio ilil una villa posta su di. ullla collina che domilila la città. Questa, « tutta sparsa di ombre e d'i lumi ci giacev,à ai piedl.; la luna si a,l~ava regina del cielo e tutta d'oro. L'aria era queta, dolce, serena e Talleyrand recitò alcuni bei versi del Delille sulla malinconia. >> La scenetta è amenissima e piena di saporosa irooia. I commensali eramo a Mezzaratta, forse, o su al- 1' Osservanza; nella limp,ida ·sera di giugno tutti gli orti suburbani di Bologna ma,ndaV1aID.o verso il cielo stellato le loro estivali fra– granze e lenti buffi deliziosi ne giungevamo alle delicate narici degli illustri convitati. Giù l'ombra che avvolgeva Bologna appariva rotta, ibliotecaGino Bianco

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