Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
272 Jlf. Moretti - Ricordi dannunziani Allora io aipersi le braccia a ri111corareil povero Simonetto e lo sosteinni contro il mio petto 09me per promettergli che un giorno avrebbe potuto anch'egli bramdire una spada, una fiaccola. U111a fiaccola non da mettere sotto il moggio come la lucerna evamgelica, ma una torcia vera che sibili e rugga, come quella che Enotrio, morendo, doveva poi commettere al padre. Non pare, ma è passato u111 quarto di secolo. « Il 7 aprile 1905 » dice-la dedica del ritratto che il compagno mi mamdò, uno o due mesi dopo, ÌIIl costume di Simonetto. Graruoso e direi anche capzioso costume questo che illldossa un giovi111ettodi grande casata, nel paese pelig1110,al tempo del re borbone Ferdinamdo I. Abito di nero velluto e-on calzo111imolto aderenti; u111a larga fascia di seta alla vita; la bizzarria d'una re– dingottella che si solleva e s'apre a campa{[la; una camicia ch'è tutta una gala. E il giovi111ettoche guarda impaurito 111el vuoto. Un sin– ghiozzo gli schiamta il petto. Trema, vacilla, sta per cadere: Oh, oh, oh! Son un povero malato .... Oh, oh, oh! Altro non posso che morire .... Dolorose coincidenze! Proprio in quei giorni un giovinetto d~l– l'età di Simo111etto,malato come Simonetto, tremava, vacillava, s'ab– bandonava così, la stessa voce, le stesse parole : Oh, io sono veramente malato! Io non posso, mio Dio, che morire. Amen. N 0111 mi pareva possibile che Simo111etto a Milano {l'altro era a Roma) si fosse ricordato di me ÌIIl quel trambusto mandandomi il so111tuoso ritratto. Perché egli era partito con in fronte una luce di glorfa lascirundo n-0i fra tenebre sempre più dense; e ,quamdo lo ri– vedBmmo dopo d'allora, la sua dolcezza conservava intatto il suol fascino, ma egli 1110n era più il nostro compagno. E dunque addio, ~imonetto. Triste, quamdo ,ciascu1110 deve far la sua strada, e l'ami– cizia è finita. Triste, quando una specie di fiele della ooscienza e dell'i111telletto avvelena la nostra infanzia letteraria togliein.dhci la felicità e la fr!;)schezza e quasi la fede, e 1110n si può più amare ciecamoote un poeta. Felici coloro che no111 fecero mai distinzio111i: questo è bello, q nesto U111 po' meno. Grande poeta, ripr,eparaci il filtro della gio– vinezza p~rché possiamo ritrovare il senso della tua illlfallibilità. MARINO MOREJ'l'TI. BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy