Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929
Ricordi dannunziani 271 avevo potuto credere ch'egli dovesse entrare m arte COIIl le goffag– gillli e le taccagmerie de' miei pari ? Subir il noviziato apparendo in sc~na per portare una. lettera alla prim' attrice sopra UIIl vassoio d'argento? Seguire il destino dei oomici nel ballolllzolio del Carro di Tespi ? Ma egli _possedeva la bacchetta fatata. che trasforma la favola in ,rèaltà come suo. padre' possedeva quella che trasforma la realtà in favola, cioè in poesia. Ora egli aveva chiesto una parte; e la parte era fiorita qui d'improvviso, in rosso e lllero, su la carta a· IDa!IlO. Gabriellilllo chiuse ~ chiave il manoscritto e poi cominciò: Fammi portare con la portantina, nonna .... Sono tanto malato .... Voi manderete a Napoli Simonetto de Sangro in portantina e pagherete cento dottori lé' glie li metterete intorno· a medicarlo .... Voglio andare a Oappadocia dalla, zia Costanza .... Il Come era già illlquietante il fantasma di quel Simonetto che a'\'eva la nostra età e che pareva uscito dalla schiera d'incurabili, dalle· pallide larve del poema paradisiaco; quel caro adolescente ìnfer– miccio cresciuto lllell'atmosfera dei fiori malati e delle stanze dei coilwalescenti dove i pallidi giovinetti resta!Ilo stesi, in posa, « sopra un fianco».... Sotto i miei occhi il compagmo c,omponeva il suo perso111aggio,sostenendosi a stento, :flettendo i ginocchi, piegrun<losi così, oome un giunco. Simo111ettoè infermiccio, è ,sva!Ilito! E se ne va, la primogenitura .... No111 sapete che il suo sangue è stmto come il broccatello della portantina, di quella portantillla che tanto gli piace? Nolll vedete quanto gli dura quel piccolo :taglio sul dito? Gabriellino avanzava l'indice come per mostrarmi il taglietto che non poteva chiudersi più : ci si .faceva sempre ullla goccia bianchiccia come una perla! E la fo111tana, la cara fontana che si chiama Gioietta, come una fa!Ilciulla ? È una f0111tana di gentile lavoro, dommata da una statuetta mulièbre, che alza 1I1elmezzo dell'aula la sua conca vacua. Ahimè! Non dà più acqua perché le s'è i111grommato il calllale: Qualcosa mi mancava e non sapevo che, ed era la sua voce.... E poi Gabriellino scoteva i capelli, chiudeva gli occhi, batteva i piedi, perché voleva amdare a Cappadocia dalla zia Costanza. Ahi che per andare a Cappadocia bisognava mettere l'ultimo dei San– gro sul mulo, ed era troppo disagiato il viaggio. Ma egli si chinava su me col suo soffio di febbricitante e insisteva : Mettetemi sul mulo che ·sa la strada. Il mulo ha l'ambio dolce .... BibliotecaGino Bianco
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