Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

Ricordi dannunziani 269 Egli era disceso dal cielo ; io venivo da uin nero paese di pesca– tori. Egli era di origine quasi divina; mia madre faceva la maestra al paese e mio padre era impiegato al comu!Ile. Ohe importa ? Anzi, anzi, non dispiaceva alla sua sublime semplicità riflettere un po' di gloria sul compagno oscurissimo che avrebbe potuto essergli servo. - No, - disse i!Ilfine oome ispirato dal cielo, - scrivere no. Recitare. - Recitare !Ilo,- risposi sullo stesso tono quasi contrapponen– domi a lui. - Scrivere, scrivere. N O!Ilera bello che, dovendo insieme decidere, no!Il scegliessimo la stessa strada come !Il•On si sceglie la stessa parte in U!Ilgiuoco ? Ora l'arte ci divideva; ma non ci davamo l'addio, perché ci univa pur sempre lo stesso amore, lo stesso culto, la stessa fede nella divi!Ilità dannunziana. La !Ilostra chiesa aveva U!Ilnome solo, ui:i. nome lievemente ridicolo: Oapponcina. L'avvenire stesso si chia– mava così : Oapponcina. Io ti guardavo quasi tremando. - Quest'oggi.... a!Ildrai dal papà ? - ,Sì, - rispondevi angelicamente col tuo sorriso immutabile, - l'ho visto anche ieri, il paipà. - ,Ma mi pareva quasi i!Ilcredibile ch'egli non fosse semplice e de- licato e soave solo con me, e che tanta soavità dispensasse i!Ilvece a tutti i compagni, anche ai più goffi e volgari, ché tutti erano a' suoi occhi compagni e quasi suoi pari. Tangheri venuti da paesi semi– selvaggi co!Ilquesta ubbia della scena e che a fin d'am.!Ilosarebbero ritortI1ati per sempre alle lor tane, avevano il suo sorriso di saluta– zio!Ileangelica, il suo ramoscello di palma. Non dico poi con quanta arte seducesse i migliori, quelli che avrebbero insistito e perseverato, quelli che presto o tardi avrebbero lasciato la scuola per cc entrare i!Il arte)) ottenendo l'elemosi!Ila d'una scrittura in u!Ila compagnia regolare. E come s'accostava a loro e come li incoraggiava e come mescolava i suoi sogni e i sogni patemi_ ai loro discorsi miserabili d'impiegati che attendo!Il l'impiego; e la grazia, la furbizia, più di serpente che d'angelo, con cui affascinava lo stesso maestro CO!Il– vertendolo alla poesia, alla nuova dizio!Ile ! Ma no!Il dovevi umiliarti an<>he tu, Gabriellino, cercare una scrittura, subire il noviziato, ;~f'guire il desti!Ilo dei comici ? Possibile che a una creatura scesa ùal cielo si preparaissero in terra giomi amari ? Io ti guardavo quasi tremando. · - Quest'oggi andrai dal papà ? - Papà - rispO!Ildevi tu senza boria - sta scrivendo una tra– gedia per me. S'intitola .... - S'i!Iltitola ? - Non lo dire a nessU1110. È un segreto. S'intitola : La fiaccola sotto il moggio. Ti piace ? C'è una bella parte per me. «Fiaccola)), sì, era ullla parola dannunziana, ullla parola di lusso. ibliotecaGino Bianco·

RkJQdWJsaXNoZXIy