Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

268 M. Moretti è ridicolo, altrettanto gentile e tradizioil1ale è il poeti1110 in erba che si vero-oo·na di noil1 aver studiato abbastanza, per la sua 111uova b b carriera, sicuro che no111 gli si possa tener conto neppur dello scru- polo. Tale il poetino in erba, a quel tempo, nei pressi de~la SS. An: il1unziata : agro, sparuto, vestito come Dio vuole, spettmato e coi capelli lunghi come egli fermamente voleva;' e poi una gra~ J?aura della gente seria che gli chiedesse co111to degli studi fatti, e gli dicesse molto professoralmente che non s'aveva il diritto di scrivere qua111do 111oil1 si sapeva il latino. Possibile ? Possibile ch'io avessi ri111unziato, con l'arte drammatica, a un'incli111azione più legittima, senza re– sponsabilità, senza schiaivitù di cultura, per entrare ne' giil1eprai della grammatica, dell~ retorica, dell'ars dicendi et loquendi? Dalla padella 111ella brace. Così pensava forse qualcuno. Ma che 111e pensava, su alla Oapponcina, a Settignano di Desiderio, il mio Nume? Non voglio si creda neppure un momento che alla Oapponcina, si sospettasse l'esistenza del poeti1110 in erba giù in basso. Non io cadevo dalla padella nella brace, ma l'adolescente Gabriellino aveva avuto le mie stesse incertezze essendo 111ato e cresciuto con la ric– chezza di due vocazioni, sì che esisteva anche per lui il pericolo e la d'ifficoltà ,della scelta, ed ecco la padella e la brace. Ora s'io dicessi che come poetino egli era più damnu111zi8Jllo di me direi cosa sciocca e balllale. Con quel nome, con quel sorriso da arc3.111gelo, con quel viso da Primo verey il dannunzi3,111esimogli spettava di diritto, era il pallle della sua maidia, la rosa del suo rosaio, la pianticella del suo orto ooocluso. E se anche egli spiccava un frutto nei pometi paterni, 111ei verzieri del ricoo Epuloil1e, si do– veva credere ch'egli trafugasse? Noi trafugavamo giù in basso;– non già Gabriellino d' Al!l111unzio. Egli era come la 111uova giovinezza del padre: e dain111unzianamentesorrideva! Ma come si diverte la vita co' giocherelli di questi ritorni, specie quando ottiene l'aiuto di quella gran prestigiatrice ch'è la divi111a Poesia! Ohe? L'Italia avrebbe avuto fra poco Ulllsecondo Primo vere scritto da un colle– giale' del Oicognini di Prato che aveva lo stesso nome dell'altro? Lo stesso nome, lo stesso 111ome, o adorato compagno ! Io ti guar– davo quasi trem3Jlldo. Io non potevo credere che tu mi fossi amico davvero, come se l'amicizia, a causa del 111ome, fosse un po' tua e 11npo' del papà. Lo stesso 111ome, lo stesso! Mra d'i veramente tuo c'era la grazia, l'attenuazione, la diminuzione del dimililutivo; e in questa necessità di distinguere fra la gloria e l'anl!lunzio d'el– l'alba era quasi tutto il fascino di Gabriellino per chi lo ammirava e lo amava come s'ama e s'ammira il miracolo d'una creatura felice. Un figlio di Gabriele d' Alllllluil1zio, bello, luminoso ricciuto non doveva parer disceso dal cielo ? ' ' BibliotecaGino·Riarico

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