Pègaso - anno I - n. 9 - settembre 1929

Ricordi dannunziani 267 ~rru:ffar,si i -capelli, a oorrere, a volare, a c~mpiere urna 1I1uovaim– presa, un nuovo raid della carriera, mootre io.son« tutto teso verso H passato>> e oompio il mio raid ignominioso restando seduto. Solo così potrò dare Ulllsenso alla vita, alle cose che quasi lllOn l'ebbero. Ohi non sa che la prima volta non è bello né um paesaggio mé una voce u_mana né Ulll'opera d'arte né ullla città né l'amore? È la seoonda v,olta che vale ; è la seconda volta che si gode e il pae– saggio e la città e l',opera d'arte e la v,oce umana e l'amore. E che valgono la prima v,olta i vent'anni? Dio solo sa come alleghÌlllo i dooti con quella loro acerbità di frutto addootato anzi tempo sul– l'albero della vita. Ohe cos'erano dunque i nostri bei vent'anllli, i nostri meravigliosi vent'anni se non d'ei qualsiasi stupidi aciduli illlintelligooti vent'anni ? Ce ,ne saremmo disfatti, li avremmo dati per uu piatto di lenticchie o per qualoosa di sì tradizionale ~ men sal:ro; magari li avremmo aperti per vedere com'eran fatti seinza trovarvi dentro quel minimo di sorpresa che valga il sacrificio del giocattolo e ch'è un delicato e fragile nulla. Ma quando lllon li ab– biamo più' da gran tempo, allora la vita ,è .c,omeesautorata e i pa– droni di quei nostri anni siam noi. Essi non ci vengono più imposti :a data fissa, anno per anno, gionno per giorno, santo per santo, co'h l'insopportabile salmodia del calendario ; ma ce li riprendiamo noi -quando li vogliaimo socchiudendo lievissimamente le palpebre perché :fioriscano anche i fiorellillli anemici che non sbocciarolllo allora, e ,questa è la giovinezza che non delude, la giovinezza cosciente. Ho :già detto che a Firenze, più che in qualsiasi altro luogo, lasciai la spoglia della mia primavera, ullla specie di pelle di serpente della giovinezza da cui sono uscito uomo e artista alla meglio. Potrei illldicare il punto preciso dove avvenne questa disgraziata trasfor– mazione, che non fu davvero un bello spettacolo per quelli che mi -vedevan tutti i gionni e temevano de' miei sviluppi fisici come degli ,scricchiolii della mia prosodia. Tutte le volte che capito lllei pressi della SS. Annunziata n,on ho che da far pochi passi per trovare il tabaccaio d'rungolo (il tabaccaio non c'è più, ma e perciò? i miei occhi lo vedono e c'è ancora) e imboccare la solita stradillla col suo earo petrarchesco nome di do,nna (via Laura, già via del Mandorlo) sì che a vedere la targa il cuore balza e dice oome a sé stesso : - Sì, è qui. - Ebbene, è qui ch'ebbi vent'anni quando nolll c'è merito ad averli. Era Panno 1905. Domando e dico che gusto ci fosse ad avere vent'anni nel 1905 o giù di lì. Ohe cosa c'è, se non un ,cataclisma umano, una guerra, che renda sopportabile la medio– ,crità dei vent'anni? Via Laura; Scuola di Recitazione in Firenze. Era quando io guarivo della vocazione d'artista drammatico; ma mi spogliavo :appena d'urna goffaggine per vestinne un'altra più smilza. Perché -voi sapete che se il filodrammatico che mal si regge per l'emozione BibliotecaGino Bianco Fondazione Alfred Lewin' Biblioteca Gino Bianco

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